di Marzia Brofferio Celeste
Suggestivo, commovente, triste e divertente allo stesso tempo, “Che cosa c’è da ridere” (Mondadori, 2021) di Federico Baccomo è il romanzo che più mi ha colpito tra tutti quelli letti negli ultimi mesi. Incuriosita dalla seconda copertina e dal titolo, è un libro che mi ha suscitato un’altalena di emozioni e molte riflessioni.
La scrittura è piacevole, non banale, a volte intensa a volte leggera. L’autore è stato capace di descrivere situazioni, ambienti e personaggi con la giusta dovizia di particolari ma senza appesantire troppo la narrazione: solo l’essenziale, a volte ripetuto per sottolinearne l’importanza, tralasciando i “fronzoli decorativi”.
La trama, ispirata a tante storie vere, racconta di Erich, un ragazzetto minuto, un po’ bruttino, non particolarmente amato né dai compagni né dagli insegnanti, nato in un giorno nefasto. Nefasto per due motivi: è il giorno dello scoppio della Prima Guerra Mondiale ed è anche il giorno della prematura morte di sua madre. E di questo secondo evento suo padre Rudolf, un uomo severo e rancoroso, lo colpevolizzerà fino alla fine dei suoi giorni: “Piccolo assassino”, così si rivolge Rudolf a suo figlio. E, viste le premesse, davvero non c’è nulla da ridere! Questo è il vero punto forte del libro: raccontare la tragedia attraverso la commedia, seguendo una tradizione umoristica ebraica che ha consentito a molti di superare il peggior incubo della loro vita.
Diviso tra la scuola e la bottega del padre (è un artigiano che crea cappelli), la vita di Erich ha una vera svolta quando undicenne assiste -nascosto sotto un divano- alla performance del Magnifico Walter, un comico. Ed è una vera rivelazione! Da quel momento in poi il ragazzo si anima di una nuova energia e trova un suo scopo nella vita: imparare l’arte di far ridere. Un modo per esorcizzare la profonda tristezza di cui è circondato e che si porta dentro. Ma fare ridere non è semplice, soprattutto per qualcuno che è sempre rimasto nascosto dietro le fila, a fare “tappezzeria”. E il Magnifico Walter, diventato il suo mentore, gli aprirà definitivamente gli occhi perchè la strada del comico non è facile: “L’anima, anche quando è ben vestita, la risata è capace di spogliarla, te la mette davanti nuda, e allora ecco che far ridere, io penso che sia giusto che sia difficile, perché spogliare l’anima delle persone è una cosa che non devono saperla fare tutti”.
Non voglio anticiparvi nulla del libro che ho trovato molto avvincente, ma posso dirvi che dopo varie peripezie, il nostro beniamino riuscirà ad avere un discreto successo nei cabaret berlinesi fino a quando il 31 luglio 1932 il partito nazista vince le sue prime elezioni, e comincia l’ascesa al potere di Hitler con le conseguenze che purtroppo tutti conosciamo. Ah, si, perché ho scordato di darvi un piccolo particolare: Erich è ebreo.
Fare il tifo per Erich lungo tutto il romanzo è inevitabile: è un ragazzo coraggioso e determinato; sognatore ma anche pragmatico; audace ma anche molto generoso e sensibile. Insomma, un vero eroe moderno. E non mancano i momenti di grande commozione: l’incontro e la relazione con la ballerina Anita, l’inaspettato aiuto di una fredda e burbera padrona di casa olandese, il saluto ai compagni e amici in partenza per i campi di lavoro e sterminio, la riconciliazione col padre. E poi il finale è davvero toccante: vi sfido a non versare una lacrima!
Grazie anche a un grande lavoro di documentazione, Baccomo ci regala una interessante storia ispirata a quella dei tanti Erich che sfidarono il nazismo opponendo l’arte e l’intelligenza alla grettezza, all’ottusità e alla violenza, per sopravvivere e continuare a sentirsi, nonostante tutto, esseri umani.
Scorrendo le pagine, addentrandomi sempre di più in questo avvincente romanzo, mi sono fermata più volte per riflettere insieme ad Erich: qual è il compito del comico? E quello dell’arte in generale? Fino a che punto è lecito spingersi per avere salva la propria vita e quella dei propri cari? Piegarsi ai più spregevoli dei nemici e accettare i loro doni e riconoscimenti, trasforma forse un uomo prigioniero in un uomo corrotto? Sono alcune delle domande che Eric si pone sul finale del romanzo e che inevitabilmente mi sono rimaste dentro.
Buona lettura.
Marzia Brofferio Celeste

Marzia Brofferio Celeste, laureata in Bocconi in Economia Aziendale, dopo un anno presso la Commissione Europea a Bruxelles, ha lavorato come consulente (Head Hunter e Formazione Manageriale) per numerose multinazionali in Italia, in Francia ed in Belgio.
Ha vissuto in Siria (Damasco), Bulgaria (Sofia), Belgio (Bruxelles), Regno Unito (Londra). Con il marito, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Unione Europea, vive a Bruxelles.