Que Bueno, Que Rico, Que Lindo

  • Photo credits: Modestas Endriuška - Fonte: FaceBook

di FDM

Avevo circa dieci anni quando mio padre mi iniziò al cinema italiano.

Ai veri film, quelli da grandi che avrei anche potuto non capire.

Ma io non solo li capivo, ne rimanevo completamente affascinata, divertita e rapita.

Così a scuola, nell’ora di ricreazione, cercavo di impormi sugli altri con la trama di “Bellissima” di Visconti o con il monumentale “Umberto D.” di Vittorio De Sica ma a nessuno dei miei compagni di classe sembravano interessare le mie osservazioni cinematografiche.

Parlavano sempre e solo di “Visitors”, una delle prime serie americane a spopolare in quegli anni, che piaceva anche a me, per carità, ma niente mi emozionava più di quei film.

Ricordo davvero come fosse ieri la prima volta che vidi “Guardie e ladri”.

In cucina, a luce spenta come se fossimo al cinema, e su due sedie attaccate io e lui. Mio padre amava molti attori e registi italiani ed era anche un cultore del western di John Ford ma i suoi idoli assoluti erano Monicelli e Steno. Ed io mai avrei immaginato che a distanza di quasi quarant’anni il figlio di Steno camminasse con me per i vicoli di Vilnius parlando di cinema e altro.

Conosco Enrico a Roma e lo incontro nel suo studio che profuma di libri, foto pop e pianoforte. Sono subito stordita e così resto per un bel po’, vorrei dirgli tanto ma non riesco, ho paura di dire stupidaggini o di essere banale e incensarlo fino allo stucchevole ma lui è così cordiale che d’improvviso tutti i miei timori se ne vanno.

Spuntano conoscenze in comune, gli racconto della Lituania e mi parla di Jacques Sernas, attore iconico lituano degli anni ’50 morto novantenne in smoking e con un drink in mano. E poi un’idea. Quella di una rassegna a Vilnius sulla commedia all’italiana, un’idea che mi fa davvero toccare il cielo con un dito. Sì, perché io il cinema e la commedia all’italiana li amo e ho imparato a farlo sin da bambina grazie a mio padre per cui i film non erano solo storie, erano di più, erano incanto.

E in un ventoso e grigio pomeriggio di fine aprile Enrico arriva.

Sorridente, Wayfarer scuri e Il Messaggero del giorno sotto il braccio che mi porge subito quasi sapendo che per chi vive all’estero il quotidiano cartaceo è un regalo prezioso.

Nel tragitto dall’aeroporto all’Ambasciata parliamo soprattutto della Lituania, è la sua prima volta ma ne sa già parecchio e vuole saperne di più.

Da lontano gli indico il palazzo del Municipio dove a caratteri cubitali campeggia una scritta antiputiniana che in quei giorni però è stata tolta per lavori di manutenzione. Il sentimento di fierezza nazionale qui è forte e determinato, il simbolo di Vilnius è un lupo, riprova di un coraggio sempre fiero che pulsa sotto il cielo baltico che d’improvviso si colora di una luce speciale.

A casa lo invito a sistemarsi e a sentirsi libero di un po’ di relax post volo, gli offro un caffè ma Enrico non ne beve, mai, io sto al quarto e sono felice.

Decidiamo di uscire. E passeggiando verso il centro storico incontriamo qualche traccia d’Italia tra cui il metro di Tito Livio Burattini e l’effige della Bona Sforza, storica granduchessa di Lituania.

Parliamo di tutto e ovviamente gli aneddoti sul cinema hanno la meglio, Enrico è un libro da leggere con avidità e ogni capitolo è più interessante dell’altro. Resta piacevolmente colpito da tutto ciò che incontriamo camminando, l’ordine dei fiori e del verde, la pulizia delle strade acciottolate e la bellezza dei palazzetti rinascimentali e neoclassici accanto a chiesette ortodosse sparse un po’ ovunque. Gli faccio sapere che il centro storico è patrimonio Unesco e che quest’anno Vilnius è capitale verde d’Europa, si sta bene qui, è una città che offre i vantaggi di una capitale e lo fa ordinatamente come una laboriosa provincia.

Dopo un po’ di ore corse come secondi prendo coraggio e gli chiedo come possano nascere sceneggiature tanto iconiche, si ferma, mi guarda e sorride.

Prima della presentazione della rassegna nei saloni dell’ Ambasciata Enrico rilascia interviste a TV e giornali con un’amabilità crescente.

La sua conferenza magnetizza tutti e la sala del cinema è piena. Si spengono le luci e parte “I tartassati”, la regia è di Steno, la complicità sul grande schermo tra Totò e Aldo Fabrizi è notoria, ridono tutti, di certo la sottotitolatura è impeccabile. Ed è un successo.

Verranno proiettati altri cinque film, manco a dirvelo cinque capolavori, uno per decade e ogni volta è un sold out.

Enrico parte. Lo accompagno all’aeroporto, lui non vorrebbe ma io sì.

Lo abbraccio, lo ringrazio e non so perché mi si riempiono gli occhi di lacrime. O forse sì, perché nei giorni passati insieme ad ascoltare Enrico, da qualche parte, c’era anche mio padre.

Ritorno in macchina con un senso di vuoto dentro ed un grande dubbio che mi assale dal 1983: ma dove lo avrà festeggiato il Capodanno Toninho Cerezo?

Non lo saprò mai.

FDM
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