di Sheila Pierce Ortona
Quando vivevo a San Francisco, ogni giorno camminavo a piedi dal nostro appartamento a Cow Hollow giù per la collina fino al porto turistico. Come un cavallo al trotto in un ippodromo, raggiungevo il molo del porto turistico e, di solito, giravo a sinistra, sempre attratto dalla spiaggia vicino a Crissy Field.
Un giorno, dopo un mese di camminata durante il lockdown per il Covid, ho provato a vedere le cose da un punto di vista diverso. E, durante quella camminata, ho deciso di girare a destra.
Ciò che si rivelò fu un lato di San Francisco che non avevo mai visto nei tre anni in cui ci avevo vissuto. Mi ritrovai di fronte a un’altra spiaggia dove famiglie organizzavano picnic mattutini con bambini ansiosi di uscire di casa. Dove leoni marini galleggiavano tra scintillanti creste bianche. Dove una vecchia barca a vela in legno, segnata dal tempo, rimaneva ormeggiata permanentemente di fronte a Ghirardelli Square. Dove Alcatraz sembrava un invitante Airbnb piuttosto che un’ex prigione. Dove un senzatetto pescava e vendeva il pescato del giorno per racimolare qualche spicciolo.
Con un solo perno, la mia bussola si è spostata. Non era diverso solo ciò che vedevo, ma anche ciò che sentivo, che ascoltavo e toccavo. Tutto ciò ha aggiunto spontaneità a quella che era diventata monotonia.
Di recente, anche a Roma, ho cambiato rotta. Da gennaio di quest’anno, mi sono costretta a uscire di casa per scrivere due volte a settimana in una biblioteca che adoro sul Gianicolo. Dato che i miei figli vanno a scuola vicino alla biblioteca, li accompagno nei giorni in cui c’è la biblioteca. E, invece di lasciarli alla stazione e tornare a casa guidando, verso nord, due volte la settimana mi avventuro su nuovi tragitti e vado verso sud cosi’ ci godiamo la Roma che scorre davanti ai nostri finestrini come se fosse un film senza tempo, a metà strada tra Vacanze romane e La Dolce Vita .
Sfrecciamo oltre Villa Borghese, puntando su Via Veneto dove salutiamo l’Ambasciata Americana. Poi passiamo accanto a una fontana del Bernini e diamo un’occhiata alle Terme di Diocleziano, di fronte al complesso cinematografico della Warner Brothers. Ci facciamo strada oltre Santa Maria Maggiore cercando di superare i frequenti blocchi di traffico lasciandoci deliziare da una vista del Foro Romano, la stessa vista di cui scrisse Edith Wharton in Febbre Romana. Lì, finalmente, giriamo a sinistra e veniamo ricompensati dal Colosseo. Superiamo l’Arco di Costantino e il Palatino prima di incappare in una fila di altri semafori sincronizzati in zona Circo Massimo. Ci troviamo poi bloccati da altri semafori non sincronizzati al Circo Massimo. Sempre in ritardo, sfrecciamo lungo la strada che prende il nome del colle Aventino e ci troviamo davanti al portone color terracotta della loro scuola.
Dopo aver lasciato i ragazzi a scuola, continuo a guidare verso uno dei sette colli di Roma, dove si trovano i pini marittimi e gli ampi ettari di Villa Doria Pamphili. Grazie alle mie visite bisettimanali nel luogo in cui Galileo diede la prima dimostrazione del suo telescopio nel 1611, ho iniziato a riconoscere gli abitanti della zona e a sentirmi anch’io una di loro. Vedo preti e suore che vanno a piedi al lavoro nel vicino Vaticano. Osservo scolari con zaini più pesanti di loro che divorano la pizza bianca al mattino. Cammino tra motorini, abbandonati accanto a muri antichi come barattoli di vernice.
Avvicinandomi alla biblioteca, sento l’odore dell’erba appena tagliata e rimango ipnotizzato dal ronzio di un tosaerba rumoroso. Mi ricorda mio fratello che bramava un trattore John Deere nei campi della Hudson Valley, dove sono cresciuta. Entrando nel cortile della biblioteca, il suono di una fontana che gocciola mi fa venire sete mentre il cinguettio degli uccelli mi ricorda che la primavera è già arrivata
Entro in biblioteca e mi dirigo verso una scrivania angolare in ciliegio che ormai considero mia. Libri impolverati con rilegature multicolori in latino, greco, italiano e inglese mi avvolgono nel mio angolo di scrittura. Tiro un bel respiro e comincio a scrivere.
Guardo l’orologio e penso a quando tornerò in una casa che è stata trascurata da una mente che aveva bisogno di essere nutrita. E realizzerò che ne è ben valsa la pena di cambiare tragitto prendendo un’altra direzione. Apprezzo il rumore della mia vita nel suono del silenzio. Sperimentando i contrasti, ne apprezzo la ricchezza. Ma l’unico modo per vederli è se mi muovo.
Sheila Pierce Ortona

Giornalista americana temporaneamente a Roma, cerca di destreggiarsi tra le esperienze in sedi all’estero e gli impegni di madre alle prese con una città non sempre facile. Scrittrice e corrispondente, scrive di Italia e di “Expat Life” sul suo blog (http://www.sheilapierce.com/) e in una newsletter settimanale, “Missives from a Metropolis”. Su Altrov’è animerà la nuova Rubrica “Greetings from Rome” indirizzata soprattutto ai lettori non italiani e disponibile, sul sito web, in italiano e inglese.