di Martina Scammacca Del Murgo
Un viaggio profondo nell’anima di un Paese complesso, vibrante e spesso contraddittorio. Si potrebbero sintetizzare così i miei quattro anni in Camerun, un mosaico culturale dove convivono modernità e tradizione, dolore e speranza, ricchezza spirituale e disuguaglianza sociale. Non potrebbe essere diversamente visto che i suoi confini, tracciati dalle potenze coloniali, racchiudono oltre 250 gruppi etnici con paesaggi che variano dalle foreste tropicali del Sud, agli altopiani miti dell’Ovest, fino alle aride zone saheliane del Nord. Non a caso il Camerun è chiamato “l’Africa in miniatura”. Del Continente conserva senza dubbio il fascino: qui, per esempio, sono ancora presenti le Chefferies, antichi regni guidati da re, capi e sottocapi che tuttora custodiscono tradizioni, riti, credenze religiose e strutture di potere di un tempo. Tra queste vi sono i Lamido nel Nord, i sultani nei regni musulmani, come il prestigioso regno Bamun, e numerosi chef de premier, deuxième et troisième degré nel resto del Paese. Esistenti ben prima della colonizzazione, queste entità hanno conservato amministrazioni autonome: amministrano la giustizia, nominano i notabili, gestiscono la terra e rappresentano i loro popoli di fronte allo Stato.
La Route des Chefferies è oggi una delle attrazioni culturali più importanti del Camerun. I musei custodiscono oggetti come maschere, troni, tessuti e feticci, ma aiutano anche a comprendere la struttura ancestrale del potere che si regge su clan, rituali di iniziazione e cosmologie tra uomo, natura e spirito. Nelle Chefferies, la foresta sacra, i riti funebri e il culto degli antenati sono ancora cruciali. Qui la poligamia è pratica diffusa e poco contestata nonostante la presenza di fedeli musulmani e cristiani. Le numerose mogli del re possono lavorare e svolgere ruoli importanti: la Reine Mère, ad esempio, guida associazioni femminili segrete impegnate nello sviluppo comunitario mentre le altre regine seguono l’educazione dei figli, accompagnano il re durante l’iniziazione e detengono un potere invisibile ma significativo. Eppure, la scrittrice Djaili Amadou Amal dà voce nei suoi libri al dolore silenzioso di molte donne, raccontando le gelosie, i soprusi e le tragedie vissute all’ interno dei Lamido e nella società. Vederla accolta con entusiasmo all’Istituto di Cultura francese di Yaoundé mi ha confermato che tra le giovani donne urbane la tradizione è sempre più oggetto di riflessione: in Camerun, infatti, la sfida di come conciliare tradizioni antiche e desiderio di emancipazione femminile resta un tema cruciale.
In un Paese così lontano e senza legami storici diretti con il nostro, colpisce scoprire l’impronta significativa lasciata comunque dall’Italia che qui è presente anche con religiosi, missionari, volontari e imprenditori ben consci delle grandi opportunità che può offrire un paese così giovane e dinamico. L’ho realizzato dopo aver collaborato all’organizzazione della rappresentazione del Don Giovanni, con cantanti camerunesi dell’Académie Sainte Cécile di Yaoundé e un’orchestra da Roma. Un’opera che ha registrato un successo inaspettato e dato il via a nuove collaborazioni tra musicisti e concorsi internazionali.
Se le imprese colgono le opportunità dell’economia Camerunense, la maggiore dell’Africa Centrale, la solidarietà cerca di risponde alle sofferenze causate da una società gerarchica, segnata da profonde disuguaglianze e con un sistema politico immobilista e verticalizzato. Sul fronte dell’imprenditoria locale, si è distinto il gruppo Alpi di Modigliana, protagonista di una fortunata iniziativa per costruire qui una filiera del legno sostenibile che ha creato occupazione e servizi per 1200 persone nella foresta tropicale di Mindourou. Alpi, capofila di iniziative per la gestione responsabile delle foreste pluviali del Congo, qui controlla oltre 300mila ettari di foreste: pianta sistematicamente nuovi alberi, fornisce casette con corrente elettrica ai dipendenti, e promuove l’educazione ambientale nella comunità locale.
Tantissime storie eccezionali provengono inoltre dal mondo della solidarietà. Solo per citarne alcune, i Focolari con Chiara Lubich, dagli anni ’60, hanno trasformato il remoto villaggio di Fontem, nella regione anglofona del Paese, in un centro sanitario e educativo d’eccellenza. L’ospedale Our Lady of Hope, il collegio Our Mother of Wisdom e la cittadella Mariapolis, hanno decisamente migliorato gli standard di vita di migliaia di persone (35mila all’ epoca). Dopo anni di conflitto nella zona, oggi si stanno riavviando le attività grazie a un progetto finanziato dalla cooperazione italiana, fortemente voluto dall’Ambasciata in collaborazione con la Fondazione AVSI.
Sempre in zona anglofona, le suore francescane, con il supporto dell’ospedale San Donato di Milano, hanno creato a Shisong il primo centro di cardiochirurgia dell’Africa Centrale. Un polo di eccellenza che ad oggi ha salvato oltre mille bambini. Il COE (Centro Orientamento Educativo) fondato da padre Francesco Pedretti, ha invece investito nella cultura come leva di sviluppo riuscendo ad aprire a Mbalmayo, nel 1992, la prima scuola d’arte del Camerun. L’istituto ha già formato artisti di richiamo che hanno esposto le loro opere anche alle ultime due edizioni della Biennale di Venezia, oltre che nella nostra Ambasciata. Il COE, inoltre, ha contribuito alla creazione di musei, sostenuto progetti sociali nelle carceri e accolto giovani italiani in servizio civile. Tra gli attori silenziosi ma decisivi che operano in Camerun figura anche il PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) guidato da Padre Maurizio. Sua l’iniziativa di fondare il Centro Edimar per i bambini di strada a Yaoundé, dove i ragazzi trovano rifugio, sostegno e possibilità di reinserimento. Il centro riceve il sostegno, piccolo ma concreto, di Les Gourmettes, il gruppo da me presieduto che riunisce donne della comunità internazionale e del Camerun che devolve anche a questa bella realtà beni utili come macchine da cucire, computer, materassi, vestiti e generi alimentari. A Muda, nell’estremo Nord, padre Danilo ha costruito il Centro Betlemme, con un orfanotrofio che accoglie neonati orfani, una scuola tecnica, un centro ortopedico e corsi professionali: un centro dove la solidarietà si declina in mille forme, adattandosi alle esigenze locali.
Risulta difficile se non impossibile rendere conto delle numerosissime storie di impegno personale: una suora piemontese che ha vissuto per trent’anni con i pigmei; un medico romano che ha garantito per decenni e in anonimato il funzionamento di un centro di salute nella giungla; i padri saveriani con la loro scuola di falegnameria a Bafoussam; le carmelitane ad Etoudi; i salesiani; padre Sergio, che si prende cura dei bambini emarginati e con disabilità, offrendo loro una casa famiglia e una minimo di protezione che una società povera ed ineguale come quella camerunese non garantirebbe. In un’Italia pur segnata dal materialismo delle società consumistiche occidentali, queste storie ci mettono quotidianamente in contatto con la faccia più solidale, responsabile e impegnata del Bel Paese. Un’Italia che, probabilmente, non saremmo riusciti ad apprezzare a pieno senza scoprire le tante anime del Camerun.
Martina Scammacca Del Murgo

Martina Scammacca del Murgo è nata a Lörrach, nella Germania del Sud. Ha conseguito la laurea in Lingue e Letterature francese, inglese e italiana presso l’Università di Tübingen e Friburgo, l’Université de Tours, il Goldsmiths College di Londra e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha insegnato per alcuni anni alla Scuola Germanica di Roma. Madre di tre figli, ha seguito, insieme al marito, le sedi di Friburgo, Il Cairo, Berlino, Monaco di Baviera, Zambia e Camerun. In Camerun è presidente del gruppo “Gourmettes”, un’associazione di donne internazionali e camerunesi, di cui organizza gli incontri e coordina i progetti sociali.