Sotto il cielo immenso del Rio della Plata

di Anna Orlandi Contucci Iannuzzi

Ogni paese ha un proprio cielo e delle nuvole particolari. Il cielo di Montevideo è immenso come il Rio della Plata. Spesso di un azzurro intenso, con nuvole basse e allungate, che si specchiano nel fiume, in un gioco di luci ed ombre dal celeste, al grigio, fino al rosso vivo al calar del sole.

Quando ho messo piede in Uruguay – gennaio 2020 – ero piuttosto confusa. Io immersa totalmente nella cultura europea, sarei stata capace di comprendere tutte le sfumature di un nuovo paese in un altro continente? Mi sentivo assolutamente impreparata ad incontrare una cultura tradizionale, ricca di influenze spagnole, portoghesi, argentine, che con il tempo ha fatto proprie le svariate ondate immigratorie – soprattutto italiane – e se ne arricchita, dotandosi di una forte e fiera identità. I primi giorni ero soprattutto stupita dal profondo legame che c’è tra gli uruguayani e la natura: gli abitanti di Montevideo almeno una volta al giorno vanno sulla rambla (con i suoi 22 km uno dei lungofiumi più estesi del mondo) e ci si intrattengono bevendo il mate con gli amici, oppure chiacchierando seduti sulle sdraio o facendo ginnastica. Per gli uruguayani è importante il contatto con la naturaleza che incide sull’intelligenza emotiva e sullo sviluppo della personalità. Vivono immersi totalmente in un rapporto armonico con la natura, in uno scambio continuo di energie: sia quando camminano lungo il Rio della Plata, sia quando si trovano en el campo, nell’entroterra.

L’Uruguay, o meglio la Repubblica Orientale dell’Uruguay, ha una superficie di 177mila chilometri quadrati, cioè un terzo circa dell’Italia, con una popolazione soli 3 milioni e mezzo di persone che abitano per lo più nella Capitale, Montevideo. Questo significa che viaggiando fuori dalle città non si incontra nessuno per chilometri: solo vacche, pecore e branchi di cavalli che pascolano tranquillamente accompagnati qualche volta da un gaucho – termine che proviene dalla espressione quechua huachu (vagabondo) e che con la colonizzazione spagnola assunse il senso di guardiano degli animali, a cavallo senza sella e con un tipico basco floscio.
Visitando le sterminate estancie, le tenute, si comprende come il lavoro agricolo, svolto nei decenni da immigrati e non, abbia contribuito a creare un’economia agricola forte e rispettosa dell’ambiente, con imponenti allevamenti di bovini e ovini che interrompono le coltivazioni di mais, soia, riso e i frutteti che si perdono a vista d’occhio. Il segreto della ricchezza agricola uruguayana sta nella grande quantità di acqua che il paese naturalmente offre e nella disponibilità di praterie sconfinate, dove il sole giocando tra gli alberi regala in ogni momento un paesaggio diverso: palme, boschi di eucalipti, macchie che nascondono una incredibile varietà di volatili dai colori e dai cinguettii particolari. Una natura paradisiaca, certo, ma per me che non conoscevo una parola di spagnolo e che arrivavo ”orfana” del mio ultimo lavoro, a Roma, l’impatto con il paese non è stato facile. Il Covid e l’isolamento forzato, insieme agli scarsi contatti con le persone del posto hanno peraltro contribuito a rendere difficili i miei primi mesi qui. Mi ritengo comunque fortunata per aver conosciuto subito alcune persone “speciali”: Laura, la mia insegnante di spagnolo, che mi ha guidato via zoom nella conoscenza della storia, della letteratura e della poesia uruguayana, e le mie insegnanti di storia dell’arte, Estela ed Emma. Sono state loro, infatti, a consegnarmi le chiavi per capire il quel “nuovo mondo”: un paese più al passo con i tempi di quanto potessi immaginare anche perché caratterizzato (già dal XIX secolo!) da una grande apertura mentale.

I grandi investimenti, stranieri e nazionali, nello scorso secolo hanno incentivato lo sviluppo architettonico della capitale e delle principali città. La straordinaria capacità di accoglienza e l’intensa immigrazione, cui il paese dava possibilità di lavoro e di arricchimento, contribuirono già allora a trasformare la società uruguayana in un crogiolo di razze e culture differenti. Nasce in quegli anni l’idea dell’Uruguay come la Svizzera dell’America del Sud, che guardava all’Europa come agli Stati Uniti, con una visione moderna e aperta alle differenze. E si consolida l’idea della uruguayidad come espressione di un’identità nazionale che si fonda su una cultura democratica e laica, incline all’integrazione e all’accettazione delle differenze sociali. Il paese si avviò così alla modernità, senza rinnegare il passato e rimanendo fedele alle figure tipiche del gaucho e dell’indio (charruas) che sono l’essenza della tradizione di origine.

Dopo la Costituzione, nel 1835, anche Le conquiste civili uruguayane avanzarono rapidamente: nel 1885 fu istituito il matrimonio civile che si celebra prima del matrimonio religioso, nel 1907 arrivò la legge sul divorzio e infine si affermò la laicità del paese con la soppressione dell’insegnamento religioso nelle scuole (1909). Nel 1916 è formalizzata la separazione completa tra Stato e Chiesa e istituita l’istruzione gratuita e obbligatoria. La svolta per l’affermazione della parità di genere risale invece al 1927, quando per la prima volta le donne uruguayane esercitarono il diritto di voto.
Il fermento civile si accompagnò anche al desiderio di ricercare uno stile architettonico, pittorico e letterario proprio dell’Uruguay e in questo l’influenza italiana giocò senz’altro un ruolo importante. Per esempio, quando nei primi del ‘900 Montevideo decise di collegare la città vecchia e il centro, fu creato lungo la costa il Parco Rodo, con tempietti e un laghetto artificiale che ricordano da vicino Villa Borgese. S’impose anche l’Art Déco e nella capitale sorsero palazzi dalle forme eclettiche e imponenti come Palacio Salvo e Palacio Legislativo, edifici emblema di Montevideo che risentono di vari stili mentre altri edifici, incluso alcune ville della media borghesia locale, furono concepiti proprio da architetti italiani che contribuirono alla nascita di un tipico stile urbanistico uruguayano.

Nella pittura si fanno avanti pittori straordinari come Pedro Figari (1880- 1938) il cui stile risente dei lunghi soggiorni trascorsi in Europa e in Italia in particolare. Nei propri quadri rappresenta momenti di vita quotidiana, cittadina e rurale, e questa visione vagamente naif si ritrova nei quadri in cui ritrae il candombe – la tipica danza dei discendenti afro accompagnata da tamburi – o in quelli in cui dipinge i balli creoli dei contadini, o gli interni dei salotti dell’alta borghesia.
In campo poetico e letterario, poi, è giusto ricordare tra le numerose personalità di spicco, Juana de Ibarbourou (1892 – 1979) detta Juana de America che con linguaggio semplice e anticonformista espresse pienamente il sentimentalismo romantico e il modernismo della poesia latino-americana degli inizi del ‘900.

Fedele alla propria storia d’innovazioni culturali e artistiche e di libertà civili, l’Uruguay è stato anche il primo paese latinoamericano a legalizzare, nel 2007, i matrimoni omosessuali e in seguito, l’aborto e la marjuana di Stato. Questo è, infatti, un paese che non finisce mai di stupire dove l’italianità si respira nell’aria. I cittadini con passaporto italiano sono solo 130.000 ma quando sentono un italiano vicino riscoprono volentieri e con fierezza la comune discendenza soffermandosi a raccontare la storia della loro famiglia e di come è approdata in Uruguay. Tutto nella Capitale ricorda a tratti il nostro paese: la pizza è indiscussa protagonista a tavola ma anche la milanese ha gran successo oppure la fainà, la farinata di ceci ligure piatto-simbolo della cucina rioplatense. Le famiglie per tradizione mangiano anche i ravioli o gnocchi ogni 29 del mese, lasciando una moneta sotto il piatto di ogni commensale come porta fortuna.

Vorrei raccontarvi molto altro di questo paese che, al contrario di Argentina, Brasile e Perù, non è mai tra le prime mete di viaggio degli italiani. Eppure dovrebbe esserlo perché sicuramente l’Uruguay regalerebbe tante sorprese. Allora venitemi a trovare se ne avete voglia…Vi aspetto, ma non tutte assieme!

Anna Orlandi Contucci Iannuzzi

Dopo la Laurea in Economia e Commercio alla Luiss di Roma, ha lavorato per dieci anni in una società finanziaria. Si specializza successivamente in tutela dei diritti dei minori mettendo in pratica le proprie competenze presso l’Area Diritti dei bambini del Comitato italiano per l’Unicef. Ha anche collaborato con il desk “Ascolto” del Centro Sociale Vincenziano Onlus a sostegno delle persone in difficoltà, e lavorato fino l’anno scorso alla sede romana dell’Ufficio del Grande Ospedaliere del Sovrano Ordine di Malta. Oggi vive a Montevideo con il marito, Ambasciatore italiano in Uruguay.

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