La pittura nel cinema: flashback

di Genny Di Bert Radicati

La sinergia tra differenti forme d’arte è una prerogativa della contemporaneità ed ha le sue radici più manifeste agli albori del Novecento: quel lasso di tempo che fa da ponte tra due secoli ed apre la strada alle sperimentazioni delle Avanguardie storiche. È in quel periodo che il cinema propone un nuovo modo di vedere, sentire, esprimere: la “settima arte” inizia la sua ascesa. Dallo stupore prodotto da un treno in movimento proiettato dai fratelli Lumiére alla magia delle visioni “lunari” di Georges Méliès il cinema proponeva ricerca e sperimentazione, immaginazione e narrazione, ritmo ed estetica visiva. Le prime forme d’arte a supporto furono la letteratura, la musica e la pittura. In particolare, focalizzandosi sulle immagini in movimento, la pittura fu – ed è ancor oggi – singolare fonte d’ispirazione.

A partire dal cinema muto (dal 1895 al 1927-28) gli artisti si concentrano sull’applicazione di differenti tecniche come l’illuminazione, la composizione e la messa in quadro, le scelte di inquadrature. Ma da subito si notano citazioni di opere d’arte. Si veda, ad esempio, il film del 1918 Il mistero di Galatea di Giulio Aristide Sartorio: unico caso di film muto scritto e realizzato da un pittore italiano che non faceva parte del gruppo dei Futuristi e quindi non era supportato da ideologie, come Anton Giulio Bragaglia o Enrico Prampolini. Sartorio firmò regia, soggetto, sceneggiatura e costumi. In alcuni fotogrammi è immediata l’assonanza iconografica con il dipinto La favorita (1901) realizzato dal pittore inglese John William Godward. Cambiano le ambientazioni ed i costumi mentre la struttura generale scenica è la stessa.

Tra i Futuristi ed i Surrealisti, Pittura e Cinema interagiscono tra loro e, spesso, sono proprio artisti del pennello a diventare protagonisti dell’arte cinematografica. Tra tutti: Salvator Dalì, Marcel Duchamp, Man Ray. Tra le ricerche avanguardistiche, non si può dimenticare Il gabinetto del Dottor Caligari (1920) di Robert Wine, un caposaldo del cinema espressionista in cui notiamo analogie, soprattutto nelle scenografie, con alcuni quadri coevi come quelli di Ernst Ludwig Kirchner o Ludwig Meidner.

Nel 1916 è originale l’esperimento dell’italiano Giulio Antamoro, che realizza il primo lungometraggio religioso italiano, Christus. In esso, l’iconografica della “Pietà”, in particolare La pietà di Michelangelo, viene “riciclata” con gusto mostrando, in alcune scene, rimandi anche a Mantegna, Raffaello, Correggio, Leonardo.

Nel 1929 Luis Buñuel esprime forza surrealista in Un chien andalou: inquadrature irrazionali che riecheggiano determinate esperienze oniriche. In quegli anni anche il cinema americano è fonte d’ispirazione e ricerca. In questo vivace clima sperimentale si trova a suo agio il regista e produttore Cecil Blount De Mille, personalità colta ed influente di Hollywood. In alcuni suoi film, come I dieci comandamenti (1923), Il Re dei Re (1927) o Il segno della croce (1932), si ritrovano molte citazione di opere pittoriche italiane del Cinquecento e Seicento. Tra gli autori prediletti da De Mille c’è Tintoretto, di cui si evidenzia l’immagine riproposta de La crocifissione del 1565.

Negli anni ’30 sono numerosi i rimandi alla storia dell’arte europea. È d’uopo citare il regista, sceneggiatore e scrittore Jean Renoir. La sua forte connessione con il mondo della pittura (essendo il secondo figlio dell’artista Pierre-Auguste Renoir) lo porta a rendere, con logica emozionale, la contaminazione tra pittura e cinema. Si veda, ad esempio, il film del 1936 Une partie de campagne in cui naturalismo ed impressionismo si amalgamano, riportando alla mente alcune tele di Monet, Degas e Manet, con particolare riferimento a Le Déjeuner sur l’herbe del 1892.

In quel periodo in Francia, e non solo, l’interesse a riproporre con coraggio e personalità immagini prese a prestito dalla pittura è molto diffuso. In merito, non si può dimenticare La kermesse eroica (ambientata in Belgio alla fine del Seicento) del 1935 di Jacques Feyder con omaggi ai pittori fiamminghi: Rembrandt, Bosch, Brueghel il giovane. Un anno prima il regista danese Carl Theodor Dreyer realizzò Dies irae (che narra la caccia alle streghe del Seicento) nel quale, in talune scene, si stagliano immagini riconducibili a Vermeer e Rembrandt. Di quest’ultimo, in un fotogramma, è addirittura chiarissimo il rinvio all’opera del 1632 La lezione di anatomia del Dottor Nicolaes Tulp.

Per arrivare agli anni Cinquanta, Renato Castellani nel film Romeo e Giulietta (1954) propone la scena del funerale di Giulietta che riporta alla mente La leggenda di Sant’Orsola (1490) di Vittorio Carpaccio. Nello stesso anno, Luchino Visconti propone Senso. La regia si rifà all’epoca risorgimentale (come nel 1948 con il film La terra trema) e sovente battaglie e soggetti militari celebrano la produzione artistica di Giovanni Fattori. In Visconti i riferimenti figurativi all’interno del quadro cinematografico sono fondamentali per stabilire azione scenica e ricerca di un nuovo linguaggio, per dare maggiore potenza drammatica e psicologica. Molte le citazioni visive che possiamo intravedere. Tra tutte, la famosissima scena in cui i protagonisti Livia e Franz si abbandonano ai propri sentimenti e ci riportano alla mente Il bacio di Francesco Hayez del 1859.

In Italia negli anni ’60, ’70 ed ’80, molti registi “strizzano l’occhio” alla cultura pittorica del passato. Pier Paolo Pasolini nel Decameron ricrea artificiosamente il giudizio universale di Giotto. Già precedentemente, nel 1962, il grande regista friulano in Mamma Roma aveva dato un tributo al Cristo morto di Mantegna, un soggetto ripreso da molti autori come Ejzenstein ne La corazzata Potemkin, Fellini in Fellini Satyricon, Stanley Kubrick nella scena finale di 2001: Odissea nello spazio.

Il Rinascimento italiano come fonte ispiratrice di immagini-narrazioni lo si ritrova in numerosi registi. Tra questi Akira Kurosawa con film come Kagemusha (1980) e Ran (1985).

Nel cinema contemporaneo si riscontrano anche frequenti riferimenti, sia da un punto di vista iconografico che concettuale, all’arte romantica. In tal senso, un valido esempio è Terrence Malick che nei suoi film esamina l’animo umano, la sua insicurezza e fragilità, il suo rapporto con la natura. Nel film The tree of life del 2011 si riscontrano diverse tematiche tipiche del Romanticismo: la precarietà dell’uomo di fronte all’universo, emozioni, spiritualità e simboli, il dialogo del singolo con l’universo, la grandezza della natura, che sembra superare il limen dello schermo per coinvolgere i nostri sensi. E poi la scena finale in cui la signora O’Brien s’incammina verso la luce del sole calante ed ecco che appare nitida la memoria visiva della sagoma della protagonista del quadro Donna al tramonto del sole di Caspar David Friedrich.

Genny Di Bert Radicati

Storica e critica d’arte. Le sue attività includono giornalismo, critica, curatela e ricerca focalizzata sull’interdisciplinarietà e sulla contaminazione delle forme d’arte nonché sulla loro relazione con la sociologia e filosofia. Curatrice della Fondazione Eleutheria a Praga e docente alla Rome University of Fine Arts è anche esperta d’arte presso il Tribunale di Roma. Pubblica cataloghi e monografie di artisti e saggi; cura esposizioni, rassegne e realizzazioni di video-documentari d’arte; collabora con vari Enti pubblici ed Istituzioni. Ha visitato professionalmente diversi Stati. In particolare: numerosi Paesi del bacino del Mediterraneo e dell’Europa nonché gli Stati Uniti. Ha vissuto a New York, Praga (dove è stata Presidente “Diplomatic Ladies Association” della Repubblica Ceca) e Skopje. Attualmente risiede a Roma.

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