Hibernia, l’Isola di Smeraldo


di Marìa Gabriela Echeverrìa Serpi

La Residenza Italiana si trova nel cuore dell’Irlanda, nel verde, circondata da un parco e da un bosco, e da due fiumi, il Liffey e il Griffin. Lucan House, così è chiamata, è legata alle origini della cittadina dello stesso nome, e custodisce le vestigia  di una chiesa che fu cattolica, prima che il riformismo togliesse tutte le chiese agli irlandesi. Ha pure una torre normanna, un piccolo cimitero ed una antica sorgente.

Lucan House è lontana dal centro di Dublino, e questo fatto limita un pò la vita dei suoi residenti. Bisogna contare quasi un’ora per arrivare in centro città, anche perchè la densità del traffico a Dublino è diventata spesso paragonabile a quella  di Bogotà o Roma.

Gli antichi romani non erano interessati ad occupare Hibernia, come da loro era chiamata la terra irlandese, dove la conversione al Cristianesimo con San Patrizio permise la creazione di siti monastici nel periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano.  Molto deve il Cristianesimo a questi monaci irlandesi, che con premura hanno saputo tutelare e recuperare nell’Europa post-Romana dei documenti importantissimi come il “ Libro de Kells”, che si trova ora nella preziosa libreria del Trinity College a Dublino. A sua volta, la fede cattolica servirà più in là nel tempo agli irlandesi per consolidare un forte sentimento nazionalista che li porterà all’indipendenza.

Il destino degli irlandesi però era soffrire invasioni, saccheggi e colonizzazioni dal Nord dell’Europa.  Prima i vikinghi, poi i normanni, dopo gli inglesi. Questi ultimi ci sono rimasti per sette secoli, dominando in maniera dispotica il popolo irlandese, eliminando la loro lingua e le loro tradizioni, fino al punto di tentare di farli abiurare alla loro fede cattolica e convertirsi al protestantesimo. Un esempio di questo dominio culturale, fu vietare loro l’utilizzo di uno strumento musicale così tradizionale alla cultura irlandese come l’arpa, che con l’independenza diventò l’emblema nazionale del paese.

È stato in un certo senso un destino simile a quello che gli antichi romani avevano riservato agli stessi inglesi.

Ma il peggio arrivò con la “Great Famine” che colpì l’Irlanda fra 1845 e 1849, quando le autorità britanniche non fecero nulla per alleviare la terribile carestia. Questi drammatici fatti hanno stimolato anche l’emigrazione in massa degli irlandesi, principalmente verso gli Stati Uniti, ma anche in Australia, Canada, Nuova Zelanda e in alcuni paesi del Sudamerica, dove si sono associati con coraggio a tante battaglie indipendentiste.

Gli irlandesi hanno quindi conosciuto la colonizzazione, il dispotismo, la fame.  Questo forse ha contribuito a renderli un popolo cordiale ed accogliente, molto alla mano.  Non hanno l’arroganza delle grandi nazioni.  Ora stanno cercando di ricostruirsi la loro identità, rivendicando le loro tradizioni, come la lingua gaelica. Sono diventati un Paese d’immigrazione ed accolgono lavoratori e studenti di altre culture e credenze, ispirati nel pluralismo etnico e religioso.

Se gli antichi romani non erano troppo interessati a queste terre color smeraldo, non si può dire lo stesso degli italiani! La prima “legione” è arrivata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Connazionali provenienti dal Lazio, che sono stati nominati “Fish and Chips”, perché hanno reso popolare fra gli irlandesi, questo tipico piatto inglese. Hanno costituito una comunità produttiva ed integrata.

Nel 1972, alla vigilia dell’ingresso dell’Irlanda nella allora Comunità Europea, la collettività straniera più numerosa era quella italiana con 5mila persone, quello che nell’epoca romana costituiva numericamente una “legione”.

Al giorno d’oggi si contano sei “legioni”, perchè circa 30mila italiani vivono e lavorano in Irlanda in diversi settori produttivi: dalla musica, alla scienza, alla ristorazione, alla ricerca e all’insegnamento. Nonostante le due grandi difficoltà alle quali deve fare fronte il Paese, che sono il problema abitazionale e la sanità, l’Irlanda continua ad attrarre gli stranieri, sia europei che asiatici e sudamericani.

Con l’ingresso nella Comunità Europea insieme alla Gran Bretagna nel 1973, l’Irlanda ha cercato maggior integrazione in Europa ed ha ottenuto prosperità e benessere. Ma ora con la “ Brexit”, stanno arrivando complicazioni per i nostri amici della terra color smeraldo.

Un’isola divisa, la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, unite solo nel rugby, dove esiste un’unica squadra e uno stesso inno “Shoulder to Shoulder”.  L’Accordo del “Good Friday” del 1998 ha portato pace e risolto il sanguinoso problema della guerriglia in Nord Irlanda.  È caduta la frontiera e non ci si accorge nemmeno quando si passa da un Paese all’altro, sempre nel verde smeraldo comune a entrambi.

Ma ora, come noto, si teme molto il ritorno di un “Hard Border” e della violenza. In realtà in Irlanda del Nord, dall’Accordo del 1998, “unionisti” protestanti e cattolici “nazionalisti” hanno convissuto in pace benché separati.  Non si sono mai uniti e questa divisione porta in sè il germe della divisione, dell’odio e della violenza.

L’assassinio di una giovane giornalista nel Nord Irlanda e altri atti di violenza che si sono perpetrati dall’inizio dell’anno, hanno risvegliato la paura. Troppo giovani le nuove generazioni per ricordare un dolore che non hanno vissuto.

Ma l’Irlanda merita pace e serenità perchè ha sofferto per secoli e perchè cerca un posto rilevante nel mondo, nel rispetto delle libertà e delle credenze di tutti i suoi abitanti.

Marìa Gabriela Echeverrìa Serpi

Nata in Costa Rica, laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali in Belgio, funzionario diplomatico per il suo Paese e poi consorte, mamma e ora persino nonna! Appassionata di musica e letteratura, è contagiosa: ha fondato ben tre gruppi di lettura a Roma e Caracas. Canta con grande passione nel coro dell’ACDMAE.

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