Da Milano a Roma, anche la Cultura diventa “a domicilio”

                Qualsiasi strada è lecita per sopravvivere a questa seconda ondata pandemica, soprattutto se a percorrerla è un’industria cruciale per il nostro futuro come quella che produce Cultura. Dai teatri alle grandi istituzioni museali, passando per le gallerie, le sale da concerto e i cinema, è quasi impossibile contare tutte le richieste d’aiuto e gli allarmi lanciati dagli operatori di un settore che oggi, dopo quasi un anno di chiusure imposte dai rischi di contagio, è in ginocchio. Ma a soffrire è anche il pubblico, specie quello più affezionato, che il Covid ha prepotentemente privato di un “bene” per molti aspetti comunque essenziale, anche se non sempre considerato di prima necessità.

In questi ultimi, lunghi mesi di “privazione”, abbiamo assistito al moltiplicarsi di progetti sperimentali, per consentire in qualche modo anche alla Cultura di poter esser “fruita”. Nel panorama spiccano iniziative che, in modo originale, propongono la cultura in formato delivery, portando cioè “a domicilio” non solo la ristorazione, il libro e gli acquisti del giorno, ma anche beni più complessi come lo spettacolo teatrale, l’allestimento d’arte o la performance concertistica. Complici le prolungate chiusure degli edifici dove questi beni erano normalmente godibili, il cosiddetto “Culture Delivery” sta decisamente prendendo piede in Italia a partire da Roma e Milano, le città che per prime hanno avvertito la necessità di cambiare passo per non fermarsi di fronte le restrizioni scandite dal ritmo dei contagi. Si tratta d’iniziative singolari, frutto dell’ingegno e di quell’arte d’arrangiarsi di cui l’Italia, per fortuna, è ancora campione. Ci sembra quindi giusto ricordarne qualcuna con il merito speciale di rispondere a esigenze concrete e ugualmente avvertite: non abbandonare del tutto i frequentatori di musei, teatri e sale da concerto e far lavorare, almeno saltuariamente, gli addetti ai lavori.

I muri di Milano, per esempio, sono diventati spazi espositivi con “Fermati un Istante” del fotoreporter Andrea Fasani ( http://fermati.andreafasani.com/ )che con le sue istantanee invita i passanti a scoprire l’umanità che di solito ci passa accanto, nella nostra totale indifferenza. La sua mostra itinerante – senza spazi nè tempi fissi – si sviluppa sui muri dei palazzi e ha per “corridoi” quei marciapiedi che normalmente i milanesi percorrono di corsa. Fasani ripropone il concept di “città –museo – spazio aperto” dove, anche per ragioni climatiche, non era mai stato portato.

Fuori da schemi ricorrenti anche il progetto “diffuso” del duo artistico “Volontà di Ferro” (https://www.volontadiferro.it/) che ha esposto i propri dipinti su strada, in un centinaio di location della Capitale, utilizzando gli spazi normalmente dedicati alla cartellonistica pubblicitaria. Si tratta d’iniziative definite “inconsuete e geniali”, lanciate da artisti emergenti che, in tempi di Covid e di gallerie chiuse, hanno trovato il modo di fare apprezzare le loro opere originali, dal vivo e in totale sicurezza, assumendosi però il rischio di un eventuale furto o di un atto vandalico. Sarebbe impensabile, ovviamente, lasciare a cielo aperto pezzi di valore inestimabile del nostro immenso patrimonio, anche se proprio quelli attraggono i grandi numeri d’italiani e di turisti. Basti pensare che, secondo l’Istat, musei, gallerie ed aree monumentali di proprietà dello Stato, nei soli mesi di lockdown nazionale (da marzo a maggio 2020), hanno registrato circa 19 milioni di presenze in meno, con una perdita complessiva di 78 milioni di euro. Si stima che senza chiusure l’anno scorso avremmo registrato più visitatori dei 55 milioni contati del 2019. E anche questi, sono numeri approssimati per difetto perché non includono le realtà private e le fondazioni.

La chiusura dei grandi saloni internazionali (si pensi alla scorsa edizione, annullata, del Salone del Mobile di Milano) ha fatto tremare anche un settore fiore all’occhiello del nostro made in Italy come il Design. Per fortuna qualcuno, con coraggio e determinazione, è riuscito a scommettere proprio sulla creatività per aggirare gli ostacoli. E’ il caso di Gio Tirotto (www.giotirotto.it), nome di riferimento per le sue idee di design della luce e d’illuminazione sperimentale. Con la curatrice indipendente Maria Cristina Didero ha realizzato, in pieno lockdown natalizio, l’installazione site-specific con 208 boe luminose galleggianti sistemate sotto il cielo di Rimini, sull’acqua che lambisce il Ponte di Tiberio, a rappresentare altrettante nazioni del mondo in equilibrio precario ma resilienti. Le boe di Tirotto diventano scultura luminosa, “una suggestiva installazione pubblica, fruibile a tutti e capace di veicolare un messaggio universale”, sottolinea Didero.

Anche le piccole produzioni teatrali, per esser godibili nel rispetto delle normative anti-covid, hanno dovuto reinventarsi del tutto. Come Teatro Delivery Milano delle attrici Marica Mastromarino e Roberta Paolini, che calcano non palcoscenici ma cortili interni, terrazze o piccoli giardini. Ad aprire loro la strada è l’attore Ippolito Chiarello, fondatore delle Unità Speciali di Continuità Artistica che accendono i riflettori sull’importanza della cultura, “un bene di prima necessità per la crescita delle persone anche in tempi di pandemia”. Il loro è un “teatro alla carta”, organizzato su chiamata e in base a un “menù” definito di pièce teatrali. Le  performance sono destinate a un pubblico molto ristretto (due famiglie al massimo): le attrici arrivano in bici, con il loro zaino giallo “rider style” ma all’interno, invece di cibo e bevande, c’è tutto l’occorrente per lo spettacolo. I prezzi sono molto accessibili perché le performance all’aperto, in inverno, durano al massimo mezz’ora, e con l’aiuto dei social – Facebook e Instagram – la formula ha avuto riscontri positivi in tempi record: da dicembre a oggi, Teatro Delivery Milano si è esibito una sessantina di volte, guadagnandosi anche lusinghiere recensioni sulla stampa locale e nazionale.

A Roma c’è chi ha preferito il caravan alle due ruote, come Federica Migliotta, regista e ideatrice del Progetto teatrale per ragazzi “In carrozza! Teatro, Storie, Musiche e Sorprese per viaggiare con la fantasia” (www.teatriincomune.roma.it) che coinvolge varie compagnie teatrali laziali chiamate, di volta in volta, a confrontarsi con il linguaggio della video storia che arriva a un pubblico giovanissimo via web e social. Chiara de Bonis, nella doppia veste di autrice e attrice, è una principessa strampalata e giramondo che sale su un coloratissimo carrozzone in aperta campagna e da lì – recitando di fronte alla telecamera – narra le sue magiche storie. Per “viaggiare” nella fantasia con lei basta collegarsi a YouTube o sulla pagina Facebook del Teatro Biblioteca Quarticciolo, partner principale del progetto che è anche sostenuto da Biblioteche di Roma.

Teatri, cinema e spettacoli sono senza dubbio i più duramente colpiti dalle misure restrittive. A differenza d’altri settori, sono fermi da ottobre e in calendario non è ancora previsto il ritorno alla “normalità”. In gioco, solo considerando i teatri italiani, ci sono almeno 100mila posti di lavoro che garantiscono un indotto non trascurabile anche a ristoranti, alberghi e, in generale, al turismo. Finora, lamentano gli operatori, gli stanziamenti pubblici ricevuti sono stati nettamente inferiori a quelli del turismo e della ristorazione. Per i teatri, di conseguenza, ripartire in qualche modo – anche tagliando ulteriormente i costi e rinunciando a folti parterre – non è un’opzione, bensì una necessità.

Ne sa qualcosa Lucia Martinelli, docente e pianista professionista, con un grande amore per Bach e la convinzione che la musica, anche la più raffinata e “difficile”, debba esser condivisa da tutti. Sua l’idea di organizzare dei “concerti per pianerottolo” per aiutare altri musicisti professionisti ad arrivare a fine mese e riacquistare un contatto, per quanto distanziato, con un piccolo pubblico dal vivo. Prima del Covid-19, con la sua compagnia “Musica nell’Aria” (https://musicanellaria.it/) portava concerti d’alto livello sui palcoscenici più atipici di Milano: parchi, centri sociali e anche carceri. Dopo il primo lockdown si rafforza in lei la convinzione che “se il pubblico non può più uscire, la musica deve potere comunque entrare” e, ispirandosi alla formula di Teatro Delivery, organizza il suo primo concerto davanti a una porta di casa, “letteralmente sul pianerottolo – spiega – perché le rigide temperature invernali all’esterno possono compromettere le mani dei musicisti”. Con Martinelli, insomma, il pianerottolo diventa un palcoscenico mentre l’inquilino, dietro la porta di casa e munito di mascherina, diventa pubblico pagante. Lei stessa ricrea di fronte al committente, in pochi metri quadrati, l’atmosfera teatrale con tappeto rosso, leggio e luci soffuse. Tanti musicisti professionisti hanno aderito con entusiasmo alla sua rete – racconta – rendendosi disponibili per esibizioni che durano una ventina di minuti e costano “non più di una cena per due in un buon ristorante”. Anche in questo caso il successo, complice Internet, è arrivato rapidamente: il primo concerto per pianerottolo postato su Facebook è stato condiviso 200 volte in un giorno, nella sola Milano, e l’eco è rimbalzato di lì a poco su tutte le grandi testate nazionali, oltre che in Svizzera e in Francia.

Anche i grandi teatri, quelli che hanno potuto cassa integrare i loro dipendenti, dovranno fare esercizi d’ingegneria contabile per far quadrare i conti quest’anno. Gli ammortizzatori sociali sono stati cruciali per resistere finora ma, se il sipario tornerà ad alzarsi, i costi per andare in scena saranno all’incirca quelli di sempre, a fronte di capienze ridotte e di ricavi proporzionalmente inferiori.

Sul tavolo del nuovo Governo Draghi, tra i numerosi dossier spinosi da affrontare, arriverà quindi anche il problema di come salvare non solo i teatri, ma buona parte dell’industria culturale e creativa italiana. Trovare una via d’uscita per il settore, tenendo conto dei tempi straordinariamente dilatati della crisi, è diventata  un’urgenza, pena – ammoniscono le filiere creative italiane – la scomparsa d’intere realtà culturali e questo danneggerebbe in modo permanente un’infrastruttura chiave per la ripresa del Bel Paese.

Redazione

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