Cinque film premiati di cinque registi di talento: il Costarica scopre il Cinema italiano contemporaneo

di Maria Rosaria Gallo Colella

Sono in Costarica da quasi un anno e continuo a sorprendermi per l’interesse che questo paese nutre per il cinema italiano. Un successo confermato anche in occasione della prima edizione del “Festival de Cine Italiano”, organizzato ad aprile dall’Ambasciata italiana in collaborazione con Cinecittà International, che ha raccolto favori e spettatori al di là delle previsioni.

La formula del cineforum, che all’inizio destava qualche perplessità, ci ha invece sorpreso per la partecipazione oltre che per la conoscenza e l’interesse del pubblico – sia locale che italiano – che ha affollato le sale in tutte le proiezioni.

Le pellicole scelte, pur rappresentando tematiche attuali e universali, sviluppano la loro trama narrativa con un occhio particolarmente dedicato alla nostra realtà: familiare, sociale, più squisitamente intima e personale.

I legami familiari, le problematiche della convivenza in città, sempre più multirazziali, le antiche consuetudini patriarcali, la criminalità organizzata e la vita da galeotto: sono i temi preponderanti delle cinque pellicole, descritti con occhio leggero e aperto all’interpretazione personale; narrando senza giudicare, offrendo piste per la comprensione delle molteplici sfaccettature dell’Italia contemporanea.

IL COLIBRÌ (2023) di Francesca Archibugi

Sin da ragazzino Marco ha vissuto la sua esistenza misurandosi con gli altri: la famiglia (problematica), il fratello, la ragazza di cui si innamora. Non per generosità né per altruismo, si direbbe; da giovane e poi da adulto percorrerà la sua vita adattandola e, quando necessario, modificandola per le esigenze altrui.

E come un colibrì riuscirà sempre a mantenersi in volo anche quando sembrerebbe immobile, incapace di prendere decisioni: fino alle estreme conseguenze quando, in un momento di acuto bisogno di amore e attenzione, deciderà di non poter pesare su quelli che sempre hanno contato su di lui.

 ARIAFERMA (2021) di Leonardo Di Costanzo

L’ antefatto è semplice: un carcere di massima sicurezza viene smantellato e tutti i detenuti trasferiti altrove. Un contrattempo però costringe i dirigenti a rimandare il cambio di penitenziario per gli ultimi tredici galeotti che si trovano a doversi riorganizzare con un piccolo manipolo di guardie in una struttura ormai inefficiente.

I due gruppi, carcerieri e carcerati, si muovono su due piani che giocoforza devono essere tenuti separati, ma che pericolosamente si incrociano senza toccarsi, attratti da un’umanità possibile, simboleggiata dal cibo e dalla sua preparazione, in un atto rituale rafforzato dalla suggestiva colonna sonora, a tratti liturgica. Lentamente, il carcere si trasforma in un microcosmo, dove il buio annulla simbolicamente le differenze e la lunga tavolata allestita lungo la successione delle celle spalancate, dove tutti mangiano assieme, dimostrano che fare comunità è possibile.

L’ unica presenza femminile, la direttrice del penitenziario, è di fatto visibile solo nelle primissime scene di questa pluripremiata pellicola ma in realtà sovrasta l’intera narrazione, rappresentando la figura unica si riferimento, colei alla quale ci si appella nel momento del bisogno.

IL LEGIONARIO (2021) di Hleb Papon

Daniel, poliziotto a Roma di origini africane, dovrà scegliere tra il senso del dovere e della legalità e il bisogno di salvaguardare l’integrità della mamma e del fratello, occupanti illegali di un palazzo che la sua squadra è chiamata a sgomberare.

L’ integrazione, il bisogno di una vita dignitosa a cominciare dall’ alloggio; ma anche il rispetto dell’autorità e delle leggi del paese che ti ospita: sono questi i temi toccati dal regista bielorusso, ma cresciuto in Italia. Esordiente, ma non nuovo alle tematiche “calde” del nostro paese, si aggiudica con questa pellicola il Pardo alla regia al Locarno Film Festival.

NON ODIARE (2020) di Mauro Mancini

Partiamo dal titolo: un comandamento, si direbbe, un ordine tassativo. Un imperativo etico, soprattutto per chi ha pronunciato il giuramento che gli impone di salvare la vita umana: ma Simone, medico di origine ebraica, letteralmente decide di non curare un uomo vittima di incidente stradale quando scopre una svastica tatuata sul suo corpo.

La morte dell’uomo innesca una complessità di problemi relativi alla sopravvivenza dei tre figli adolescenti che il medico in un certo senso prova a prendere in carico, pur subendo la violenza antisemita di uno di loro. L’ odio non ha razza, né etnia, e da qualsiasi lato provenga annichilisce la vittima, ma soprattutto il carnefice.

L’ insorgere di uno sguardo umano, libero da odio e disumanità, educa a guardare l’altro per quello che è e ci insegna a vivere nella pienezza della nostra umanità.  Il ragazzo legato ai gruppi nazisti, costretto a scappare, scopre il valore della sua vita nel lavoro e nella convivenza pacifica con persone che da sempre considerava inferiori, nemici, diversi da evitare. Esordio con plauso del pubblico e con riconoscimenti della critica anche per Mancini che affida ad Alessandro Gassman un ruolo di straordinaria intensità.

PRIMADONNA (2022) di Marta Savina

Il film è liberamente tratto dalla storia vera di Franca Viola, la ragazza siciliana che rifiutò un matrimonio riparatore nella Sicilia degli anni Sessanta.

La narrazione è lineare e allo stesso tempo rivoluzionaria; le scelte più normali per una ragazza che non vuole legarsi a colui che l’ha violentata, privandola della sua libertà di scelta, si intrecciano a quelle della sua famiglia che, appoggiandola, si trova a compiere gesti che sarebbero preclusi a chi ha osato opporsi al boss della mafia locale.

In una Sicilia che, nonostante tutto, si apre ad una certa modernità, anche il giovane fidanzato è costretto ad agire secondo i canoni di un maschilismo che probabilmente non gli appartengono più: da tenere coppia di innamorati i due giovani si trasformano in vittima e carnefice, in una configurazione in cui entrambi non si riconoscono più. Definito “film necessario”, questa storia di lotta e di coraggio premiata al Roma Film Festival, é ritornata in sala, in Italia, lo scorso 8 marzo.

Maria Rosaria Gallo Colella

Napoletana di nascita e temperamento, si è laureata in Lingue e Letterature straniere presso il prestigioso Istituto Orientale della città partenopea. Le lingue le ha poi praticate accompagnando il marito, in giro per il mondo, e seguendo le avventure scolastiche dei cinque figli! Da sempre si occupa della nostra Rubrica “Visti per Voi”, uno spazio che, per fortuna, non ha abbandonato durante i quattro anni di permanenza ad Oslo, al seguito del marito, già Ambasciatore italiano in Norvegia. Con lui, oggi sta vivendo una nuova avventura in un paese lontano, il Costarica, ma senza mai abbandonare la sua grande passione per il Cinema.

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