Che cosa c’entrano i ravioli
con un minivan?

di Paola Ferri De Luca

Paola De Luca ricostruisce con vivacità la storia dei ravioli ed accende i riflettori sull’Associazione delle Donne a Shangai, una delle tante belle realtà associative italiane con cui, come consorti di diplomatici all’estero, abbiamo occasione di cooperare.
Sarebbe bello dare un seguito a questa rubrica e conoscere altre storie, di altri consorti ed Associazioni in altri Paesi: amici cari, le attendiamo con entusiamo ed interesse!

Che cosa c’entra un raviolo con un minivan ? E che cosa c’entrano le stagioni con un gruppo di cuochi italiani e poi cosa ha a che fare un gruppo di donne appassionate ed entusiaste con una foto in alta definizione di risotto con asparagi, zucchine e mascarpone?
Questa storia comincia, appunto, da un raviolo, e finisce con un’altra fotografia, quella di dieci bambini, accovacciati felici davanti a un minivan. Ma andiamo per ordine:
cominciamo da una premessa che ha a che fare con la storia dei ravioli. Una storia che parte con tanto di atto notarile: era il 1182, località Albenga, un piccolo centro della Liguria. Secondo questo documento un contadino si impegnava a fornire ogni anno al padrone delle terre una notevole quantità di ravioli. Merce preziosa e prelibata. Ne sa qualcosa Boccaccio, il grande poeta italiano, che nel 1350, nel suo Decamerone, narra di montagne di parmigiano reggiano sulle quali stavano genti che non facevano altro che preparare maccheroni e ravioli per poi cuocerli in un brodo di cappone. Sembra che a rendere noti i ravioli nel mondo furono i liguri: la regione era terra di frontiera, passaggio obbligato dei trasporti prima per il resto dell’Italia poi per il resto del mondo. Si parla di una famiglia Raviolo che fu la prima a brevettare la pasta ripiena chiamata poi appunto Raviolo. Nel 1500 parte di questa famiglia si trasferì a Genova da Gavi, dove abitava e aveva un’ostaria di gran fama. Venne ascritta alla nobiltà e scelse come stemma, indovinate cosa? Uno stemma a forma di raviolo sormontato da tre stelle. I ravioli devono dunque il loro nome al fortunato cognome?
Come che sia è sempre gran festa in Italia quando a tavola ci sono i ravioli. E pensare che nel 1930 c’era chi li voleva abolire in nome del progresso contro le cucine regionali perché stantie. Era Marinetti, l’ideologo del gruppo dei Futuristi. Ci fu la rivolta di un gruppo di intellettuali legati a quest’avanguardia: supplicarono Marinetti di salvare i ravioli “ottimistici propulsori dinamici per i quali nutriamo profonde simpatie e doveri di riconoscenza e di amicizia”. Marinetti si convinse ed il raviolo definito “carnale lettera d’amore in busta color crema” si salvò dal progressismo rimanendo uno dei capisaldi della cucina italica.
Potreste chiedervi: qual è il tipico raviolo italiano? In Italia ci sono 1000 campanili, volete che ci siano meno di 100 modi di fare e cucinare i ravioli? Per non parlare dei nomi: si trasforma in agnolotto in Piemonte, in tortello in Emilia e Lombardia, in pansotti in Liguria, marubino in Lombardia, tortello in Toscana, cappellaccio a Ferrara, agnolotti nella Marche, mentre in alcune zone del meridione d’Italia vengono chiamati addirittura “maccaruni chini” cioè ripieni.
Con il ripieno poi ci si sbizzarrisce: si passa dalle semplici ma aromatiche erbe di campo con ricotta, alla contadina zucca arricchita dalla piccante mostarda di frutta, al sontuosissimo ripieno di carni miste della tradizione piemontese, a ripieni di pesce, verdure o formaggi freschi della tradizione meridionale. A unire il nord al sud la pasta, fatta rigorosamente a mano, utilizzando farina, uova ed acqua.
Ma torniamo alla domanda iniziale, cosa c’entra un raviolo con un minivan?
Questa storia “dei ravioli” (a me era toccato il compito di ricostruirla) dei ravioli era contenuta in un libro di ricette di ravioli di tutti i paesi e faceva parte del progetto di beneficenza annuale della Shanghai Women’s Federation, con la collaborazione dell’Associazione Consular Spouses Shanghai, i cui proventi erano poi destinati alla Shanghai Children’s Foundation.
Il libro era bello ed ebbe un discreto successo. Ma quello che mi interessa è spiegarvi il resto. Il resto nacque una sera di tarda primavera a Shanghai. Era una delle prime riunioni della giovane, ma già agguerritissima, Associazione delle Donne di Shanghai, l’ADIS, e nel corso di una delle prime riunioni ci venne l’idea: perché non pubblicare anche noi un libro di ricette, questa volta esclusivamente italiane? Perché non approfittare anche noi del grande potenziale che avevamo a disposizione? Il progetto era ambizioso: il libro si sarebbe intitolato “Le quattro stagioni”, le stagioni in cucina, le stagioni della vita… Doveva essere bello, in tre lingue: italiano, inglese e cinese, ogni ricetta doveva essere accompagnata dall’immagine corrispondente e avere un vino suggerito. All’epoca, era il 2013, erano attivi a Shanghai circa 50 cuochi e 70 ristoranti tricolori, noi dell’associazione eravamo una quarantina. Come una sgangherata e variopinta armata Brancaleone, ci mettemmo in marcia, forti delle competenze maturate nella nostra vita altrove. Stanavamo i cuochi nelle cucine e, taccuino alla mano, scrivevamo le ricette, una per ogni stagione, accompagnavamo i fotografi, provavamo le ricette e, se il caso, correggevamo gli ingredienti che dovevano essere rigorosamente reperibili in loco, naturalmente con l’approvazione degli chef spesso suscettibili, convincevamo gli sponsor ad aderire al progetto, tenevamo in ordine i conti, traducevamo e correggevamo le bozze, il tutto prima di Natale ed eravamo già ai principi d’autunno. Insomma un gran lavoro che però avrebbe avuto il merito di cementificare i rapporti di amicizia che si andavano creando in quella piccola comunità di donne, dare visibilità ai nostri cuochi e ai nostri prodotti, ma soprattutto aiutare i piccoli orfani della W.I.L.L. Foundation.
E sì, perché avevamo deciso che il ricavato delle vendite delle copie del libro sarebbe servito ad acquistare un minivan per poter consentire a quei bambini (alcuni con gravi problemi motori) di poter fare tutte quelle cose che a noi sembrano evidenti, andare a scuola, dal dottore, in piscina, a giocare, senza più dipendere da volontari. Come che fu, il libro vide la luce, circa 4200 copie vendute, non dico porta a porta, ma quasi.. I bambini ebbero il loro minivan e se volete conoscere le loro storie, questo è l’indirizzo del sito di W.I.L.L.
www.willfound.org. L’ ADIS adesso conta circa 140 socie e continua ad essere una macchina da guerra dalle tante attività, tra le quali anche un coro e questo è il sito dove, se volete, potrete scoprirne di più: www.assodonneshangai.org .

Paola Ferri De Luca

Studi in giurisprudenza, ma con la passione per l’arte, si è diplomata alla scuola di Christie’s Education di Parigi. Amante, da buona napoletana, della cucina e delle sue storie. Ha vissuto a Khartoum, Tunisi, Parigi e Shanghai.

[ultimate_carousel slide_to_scroll=”single” slides_on_desk=”1″ slides_on_tabs=”1″ slides_on_mob=”1″ arrow_color=”#ff00fa”][/ultimate_carousel]
2 Commenti
  1. non conoscevo la storia dei ravioli… me la rivendo alla prossima cena con la cucina italiana!
    perchè non pubblicare lo stesso libro solo in italiano e inglese e venderlo nelle altre sedi estere? sono sicura che sarebbe un vero successo, che ne dici?

    1. Purtroppo non si può..
      Però si può riprendere l’idea, una ex socia dell’ADIS ci sta provando in Thailandia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.