Bugo, “rocker vagabondo” con la valigia in mano

di Gianluca Della Torre

Cristian Bugatti, in arte Bugo (come lo chiamavano gli amici fin dai tempi della scuola media) si è fatto conoscere dal grande pubblico, come cantautore, nel 2000 ed ha finora inciso dieci album. Nel 2002 si trasferisce a Milano, dove la sua carriera decolla con la firma del primo contratto con Universal Records. Dopo una serie di album e successi, tra il 2009 e il 2014 sospende la carriera musicale per seguire sua moglie Elisabetta, diplomatica in carriera, in India. Qui coltiva a tempo pieno l’altra sua passione, l’arte visiva e concettuale, come dimostrano le ricerche condotte in quegli anni ed alcune mostre personali, a Roma e a Milano. Bugo, personalità poliedrica, ha anche partecipato alle riprese di “Missione di pace”, film in cui interpreta un militare che suona la chitarra e di cui ha composto anche la colonna sonora.

“Ho camminato come un pellegrino, mi sono ubriacato come un pirata e ho cantato come il più pazzo dei rocker vagabondi”, scrive Bugo nel suo primo romanzo autobiografico – “La festa del nulla”, Ed. Rizzoli – uscito nel 2019. Qui racconta in modo divertente dei suoi esordi e della sua avventura musicale quando, da ragazzo di paese, a Cerano (Novara), sognava di diventare una rockstar e di fuggire con la sua band in Inghilterra. Non l’ha mai fatto ma, in compenso, nel 2012 il britannico “The Guardian” lo cita tra gli artisti più significativi del panorama musicale italiano insieme a big come Vasco Rossi, Jovanotti e Tiziano Ferro.

Di strada, in effetti, Bugo ne ha fatta parecchia: dopo la doppia consacrazione sul palco dell’Ariston, nel 2020 e quest’anno, è chiamato a far parte di “Italian Allstars 4 Life”, progetto che coinvolge cinquanta grandi artisti italiani per incidere la cover del brano “Ma il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano, i cui diritti sono interamente devoluti alla CRI, a sostegno delle persone più fragili colpite dalla pandemia.

Ho scoperto l’artista Bugo tempo fa, apprezzandolo particolarmente per il suo talento di musicista e compositore ma non è facile improvvisarsi giornalista per intervistare – da consorte a consorte – un uomo così fuori dal comune come lui. Da persona estremamente riservata non ama parlare della sua vita privata, mentre i nostri “Incontri Straordinari” toccano anche questa sfera cioè quella di Bugo consorte di Elisabetta Holstztejn, sposata nel 2011 a Nuova Delhi e seguita a Madrid e Roma. Un percorso simile al mio, che ho conosciuto e sposato mia moglie, anche lei diplomatica in carriera, a Tripoli, prima di seguirla a Nizza e a Bruxelles. Sento di avere molto da condividere con Bugo e, per rompere il ghiaccio, chiedo quanto abbia inciso sulla carriera musicale questa vita nomade, al fianco di una donna diplomatica.

Quali episodi vorresti ricordare di queste tue esperienze di “rocker vagabondo” all’estero?

Dal punto di vista umano, vivere all’estero e uscire dalla propria comfort zone, ha sicuramente formato il mio modo di essere. Oggi sono più flessibile e mi adatto a ogni genere di situazione, semplicemente perché so come adeguarmi a qualcosa di diverso. Inevitabilmente sono cresciuto come uomo. L’India, per esempio, è stata una bellissima esperienza, vissuta intensamente con mia moglie Elisabetta, proprio perché lì ci siamo sposati, dopo sette anni di fidanzamento. Le difficoltà del posto, le abbiamo superate insieme. E poi il lavoro di mia moglie, in quel periodo, combaciava perfettamente con il mio desiderio di vivere appieno una vita che comporta continui spostamenti. Fin dall’inizio del nostro fidanzamento, le ho dato grande disponibilità a seguirla nelle sue decisioni e l’ho sostenuta anche nell’intraprendere la carriera diplomatica.  A mia moglie ho poi dedicato varie canzoni, tra le quali “I miei occhi vedono”, una canzone alla quale tengo molto, inserita in un album molto importate dal punto di vista personale, “Nuovi rimedi contro la miopia”, del 2011. In verità gliene ho dedicate tante, ma quella canzone più di altre rappresenta il momento in cui abbiamo deciso di intraprendere un progetto insieme, al di là del viaggio in India. La miopia rappresenta le cose che non mi piacciono della vita, mentre l’amore, la musica, sono un sano rimedio alle difficoltà quotidiane. In quella canzone dunque dico che la mia vita è migliore quando vedo con i suoi occhi.

Dal punto di vista musicale, nel periodo indiano sono venuto in contatto con altre realtà musicali, anche se poi strumenti come il Sitar o il Sarangi, tipici di quel luogo, non sono mai entrati nei miei dischi. Sono sempre stato coerente con la mia scelta di fare musica italiana: inserire elementi musicali di altre culture nella mia musica, come fanno altri, per esempio Jovanotti, non fa per me. Comunque, mi piace ascoltare musica straniera e lo faccio tutti i giorni.

Passiamo al Bugo artista e musicista eclettico, ci racconti i tuoi esordi?

Ho iniziato con alcuni amici del mio paese, formando un piccolo gruppo. Poco tempo dopo, appena finito il liceo, sono partito per il servizio militare. La musica era già entrata nella mia vita e durante quell’anno ho imparato i primi accordi con la chitarra grazie a dei commilitoni che mi hanno anche insegnato le prime canzoni. Da quel giorno, mi sono messo in testa che la musica poteva essere qualcosa di molto importante per la mia vita e mi è apparsa chiaramente la strada: non volevo solo cantare le canzoni di altri autori, ma sentivo l’esigenza di trasferire le mie emozioni attraverso la musica. Nel ‘99 ho fatto i primi concerti da solo. Sono molto ambizioso e volevo trasformare il mio sogno in un progetto, quindi mi sono trasferito a Milano per tentare subito di entrare nel mondo della musica.

Suoni la chitarra per scrivere le tue canzoni e per far arrivare un messaggio a chi ti ascolta. Come nascono le tue idee e come si trasformano in canzoni?

Ho imparato anch’io a suonare le canzoni di altri pur avendo, fin da subito, il desiderio di raccontare me stesso scrivendo qualcosa di mio: durante il servizio militare pur conoscendo pochi accordi, avevo già composto una piccola canzone dal titolo, appunto, “Faccio il militare”. Non so cosa sia scattato dentro di me, la musica si è rivelata fin dall’inizio il mezzo per me più adatto ad esprimermi e raccontarmi. In qualche caso le canzoni vengono di getto, magari bussando alla porta nei momenti più inaspettati, in pochi minuti: non sai bene perché, ma sono lì. È un processo irrazionale, ma assolutamente spontaneo. In altri casi, come ad esempio nella canzone “C’è crisi” del 2008, tutto è nato da un’espressione che sentivo in giro dire dalla gente: sono partito dunque da un’idea, da un argomento, e da lì è nata l’ispirazione che mi ha illuminato per scrivere il pezzo.

Fino ad oggi hai esplorato molti generi dal rock al folk, dal blues al pop e all’hip hop fino al rap e alla musica elettronica. In tutti questi cambiamenti di stili e di generi, come sei riuscito a mantenere il rapporto con i tuoi fan?

Mi viene molto naturale raccontare quello che provo e quindi, dopo tutti questi anni, ho un bellissimo rapporto con i miei fan. Hanno imparato a conoscermi, rispettando i miei cambiamenti e permettendomi di non dover mai scendere a compromessi per il mero obiettivo di essere apprezzato. Se cadi nella trappola di voler piacere a tutti i costi, allora il pubblico ti abbandona, si stufa. Mi piace sorprendere il mio pubblico, non necessariamente perché lo devo fare, ma perché i miei gusti cambiano, si evolvono, e pure io divento grande. Per me è prioritario raccontare me stesso, coerente con la scelta di restare fedele alle mie emozioni, cosa che magari non mi ha permesso di arrivare a Sanremo prima del 2020, visto che ogni tentativo precedente non veniva appoggiato perché non sapevano come piazzarmi.

Sei passato dall’essere, a detta della critica musicale, “l’esponente più conosciuto dei meno conosciuti”, a un Big del festival di Sanremo. Cosa ci racconti delle due esperienze sanremesi?

Le ho vissute con molta naturalezza perché non sono una persona ansiosa. Sapevo di rappresentare un punto di riferimento per molti giovani nell’ambiente musicale indie non televisivo, ma non ho avuto paura di calcare il palco dell’Ariston e, quando sono apparso in tv, nessuno ha gridato allo scandalo. Al contrario, i miei fan non vedevano l’ora che arrivassi al grande pubblico. Io e altri colleghi di questa edizione 2021 non eravamo molto conosciuti in tv, infatti, esiste un mondo di artisti del nostro panorama musicale che vi appaiono raramente ma che non per questo hanno poco seguito. La musica, per fortuna, esiste anche al di fuori della televisione, e questa è anche la mia risposta quando mi chiedono come sopravvivevo prima del 2020: facevo musica, concerti e tutto ciò che più mi piaceva. Certo, non nego che dopo due edizioni di Sanremo, la notorietà è esplosa enormemente e ora andare in giro e “toccare con mano” l’affetto dei miei fan è per me un grande piacere. Sono anche soddisfatto del disco uscito quest’anno, “Bugatti Cristian”, che contiene il singolo sanremese “E invece sì”, e altri cinque brani inediti.

Hai aderito al progetto di “Italian Allstars 4 Life” ben sapendo quanto questa crisi stia pesando su voi artisti e su tutto il mondo dello spettacolo. Le conseguenze della pandemia per la musica live sono devastanti: che ne pensi in proposito?

 Non amo pubblicizzarlo ma sono sempre stato abituato ad aiutare, anche prima della pandemia, e mi piace impegnarmi per le persone più deboli: per esempio faccio parte della nazionale cantanti che è, a tutti gli effetti, un’organizzazione di beneficenza e anche questo mese (n.d.r. il 25 maggio scorso) ho partecipato alla Partita del Cuore per la ricerca contro il cancro. Anche molti lavoratori della musica, incluso persone a me molto vicine, stanno purtroppo vivendo un’emergenza senza precedenti, per questo ho aderito subito ad “Italian Allstars 4 life”. Con la cover di “Ma il cielo è sempre più blu”, siamo effettivamente riusciti ad aiutare anche alcune categorie particolarmente colpite del mondo della musica; purtroppo tanti altri, con la lunga sospensione di eventi e concerti, hanno dovuto cambiare lavoro.

Gianluca Della Torre

Laureato in Economia con specialità in Business Management, dopo varie esperienze professionali – in Ghana, Liba, Libano e Turchia – nei settori marketing e vendite di grandi compagnie aeree internazionali, oggi ricopre la posizione di responsabile del Travel Management e delle vendite globali per una grande azienda italiana. Con la moglie, diplomatica in carriera conosciuta a Tripoli, condivide un grande amore per la musica, per la vita globe-trotter e per il Calcio. Ma il vero e unico amore per entrambi è soprattutto il piccolo Lorenzo, loro figlio. Dopo aver vissuto part-time a Nizza e Bruxelles, a breve rientrerà con la famiglia a Roma.

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