Angeli dalle ali d’aquila

di Lavinia Coppola De Nicolo

Lo scorso 29 marzo, dopo un viaggio avventuroso per via delle restrizioni agli spostamenti (un volo da Tirana a Roma, un passaggio in aereo militare fino a Verona, una notte in caserma prima dell’autobus per Brescia), un contingente di 20 medici e 10 infermieri, inviati dal governo albanese in Italia in piena emergenza Covid-19,  ha raggiunto la zona rossa istituita dal nostro governo e ha cominciato a prestare la propria opera di supporto agli operatori sanitari degli Spedali Riuniti di Brescia. Un gesto salutato come “la lezione di solidarietà data all’Unione Europea” da un paese che ancora non ne è neppure membro.

Grazie all’intervento del nostro Ambasciatore a Tirana, Fabrizio Bucci, il capo ufficio stampa del Ministero della Salute albanese, Etiola Kola, ci ha messo in contatto con tre medici di quel contingente: tre donne straordinarie con cui abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare (a distanza, beninteso, come i tempi presenti ci impongono e come i mezzi tecnologici odierni ci consentono) e di farci raccontare la loro esperienza nei nostri ospedali, così pregnante e difficile, le loro storie e i loro progetti di vita. Ascoltandole ci siamo rese conto – non solo perché il loro italiano è praticamente perfetto – che l’Albania è molto più vicina a noi e all’Europa di quanto una carta geografica possa far credere.

La loro coraggiosa scesa in campo contro il Covid è arrivata mentre l’Italia, primo paese in Europa, si trovava in prima linea, travolta da un virus sconosciuto, con i contagi che si estendevano dal nord al sud, con i reparti di terapia intensiva al collasso, con il contingente medico che pian piano si riduceva quando i sanitari contraevano la malattia, e uno scoramento diffuso fra la popolazione.

Nonostante il pericolo, Andriada Meta, Alma Neҫo, Ornela Gelaj, con una laurea in tasca e una specializzazione in corso (le prime due in anestesia e rianimazione, la terza in medicina interna), senza esitare, ma con un entusiasmo contagioso, mettono l’anima in spalla e partono per un paese dove di contagioso c’è ben altro … rispondono ad un appello del governo albanese e si ritrovano su un aereo il giorno dopo.

Ben consce del ruolo che loro impone il giuramento di Ippocrate, senza tener conto delle legittime preoccupazioni delle famiglie, aderiscono alla chiamata con l’entusiasmo della consapevolezza di star seguendo i propri sogni e di andare ben al di là dei propri doveri.

Andriada, solare e allegra, originaria di Kruja, la città – ci tiene a dirmi – che ha dato i natali all’eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Scanderbeg, è specializzanda in anestesia e rianimazione e ha studiato anche per qualche periodo all’estero. Mi dice che i suoi genitori, con i quali vive, l’hanno sempre appoggiata nelle sue scelte, anche questa, sicuramente difficile, di recarsi in un paese molto più toccato dall’epidemia rispetto all’Albania, dove, ad oggi, su tre milioni di abitanti, si sono avuti circa 1.100 casi e 33 decessi. “È stato un richiamo irresistibile, il mio cuore mi diceva di partire: d’altronde ho scelto questa professione perché il mio desiderio più grande è quello di prestare aiuto agli altri … e questa, per me, è stata una di quelle esperienze che ti cambiano la vita. Oltre ai compiti tipici del lavoro in corsia, infatti, ho anche spesso messo in contatto i pazienti della terapia intensiva con i loro parenti: era molto difficile per loro, soli, spaventati, attaccati ai macchinari salvavita, poter solo, brevemente, vedere le loro famiglie attraverso lo schermo di un cellulare; poterli aiutare anche in questo senso me li ha resi ancora più vicini. È stata un’esperienza che mi ha arricchito moltissimo e che mi ha ancor più rafforzato nella convinzione di aver scelto la strada giusta nella vita”.

Alma, dagli occhi di cerbiatto, è invece sposata e senza figli: “non è ancora il momento, ma arriveranno”, mi dice. È nata a Milano da genitori albanesi, ha frequentato l’asilo a Codogno, la cittadina in cui è scoppiato il primo focolaio di Covid qui in Italia, e si è trasferita in Albania con la sua famiglia all’età di sei anni. Anche lei specializzanda in anestesia e rianimazione, ha trascorso dei periodi di studio a Bologna e a Milano e ha in vista, dopo la fine degli studi, un contratto di tre anni col Ministero della Salute, ma vorrebbe andare in futuro, se le condizioni lo permetteranno, a lavorare in altri paesi europei. Visto comunque il suo legame con l’Italia e lavorando già in un reparto Covid,  prima della chiusura dei confini si stava organizzando per venire da noi, poi, sopraggiunta l’impossibilità a partire, ha aderito immediatamente alla “chiamata” per la ricerca di volontari per questa missione.

Ornela, dal viso di madonna, ama molto la scienza, ma ha un animo prettamente artistico: le pareti della sua stanza sono tappezzate di bellissimi quadri fatti da lei. Figlia di medici (il suo papà, medico di guardia, anch’egli in prima linea in quest’emergenza, è stato il primo medico in Albania ad essere contagiato dal Covid-19, fortunatamente senza conseguenze), fin da piccola aveva deciso di seguire le orme dei genitori perché, mi dice, “educata al rispetto della vita umana, il mio sogno è stato sempre quello  di aiutare gli altri, e, quindi, non ho avuto dubbi nella scelta della professione”. Ornela si sta specializzando in medicina interna all’Ospedale Madre Teresa di Tirana (un’università il cui titolo di studio è automaticamente riconosciuto nel nostro paese) ed ha studiato anche all’Università di Tor Vergata. Vista la sua specializzazione, a Brescia è stata inserita nel reparto Covid-e, di medicina interna e malattie endocrino-metaboliche.  Nonostante la sua esperienza sia stata estremamente pesante, soprattutto dal punto di vista emozionale, Ornela mi racconta di essere andata via in lacrime, per il dispiacere di lasciare quella che è stata la sua vita solo per un mese, ma che ha avuto un peso importantissimo per la sua formazione, per il suo approccio con la professione e per il suo percorso personale.

Oltre alla valenza umana che questo periodo ha avuto per loro, sia per il contatto con pazienti in condizioni di estrema fragilità, sia per l’accoglienza cordiale da parte dei colleghi, tutte hanno lodato la competenza e la professionalità del personale sanitario, capace, con alle spalle un solo mese di Covid, di prevedere il decorso della malattia in ogni singolo paziente senza mai cedere allo scoramento e rinunciare,  nonchè l’organizzazione perfetta ed efficiente dei reparti ospedalieri. Per i primi giorni sono state affiancate ad altri colleghi per prendere dimestichezza con l’ospedale e con i protocolli in uso, poi sono state inserite nelle normali turnazioni, utilizzando tutti i macchinari a disposizione (ecografi, ECMO e così via), potendo fare moltissima esperienza, vista la mole di lavoro che si è avuta in questo periodo di emergenza.

Anche l’Albania vede sempre di più la presenza femminile ai vertici delle istituzioni, e la professione medica non fa eccezione (più della metà degli specializzandi in anestesia e rianimazione, ad esempio, sono donne). Nell’ambito prettamente professionale tutte mi dicono che non hanno notato alcuna diversità di trattamento  in base al genere; ci può piuttosto essere ancora un bias culturale da parte dei pazienti, che vedono il medico donna in maniera diversa, in alcuni casi fidandosene di meno, ma in altri apprezzandone la maggiore empatia. La rapida ascesa del numero di donne impegnate in attività lavorativa non corrisponde, però, ancora, ad una corrispondente attenzione da parte dello stato per le esigenze organizzative delle famiglie.

È stato entusiasmante poter intervistare queste tre donne, queste tre professioniste figlie del nostro tempo, che ci hanno mostrato uno spaccato di un paese a noi molto vicino, con il quale i legami storici, culturali ed economici sono molto profondi, ma non da tutti davvero conosciuto; la collaborazione della squadra inviata a Brescia ha ancor più messo in evidenza queste affinità. Il Paese delle Aquile sembra ormai proiettato verso un futuro in seno all’UE, circostanza che ne favorirebbe l’ulteriore sviluppo e che darebbe maggiori opportunità a giovani come Andriada, Alma e Ornela, di potersi formare, di vedersi riconosciuti automaticamente i titoli di studio e di potere, in seguito, dare il loro apporto lavorativo in un ambito più ampio.

E di persone come loro, giovani, entusiaste, idealiste, generose, competenti, questa vecchia Europa sembra avere sempre più bisogno.

Lavinia Coppola De Nicolo

Dottore commercialista e revisore contabile, lascia Napoli e la professione per seguire il marito funzionario diplomatico in giro per il mondo. Mamma di due ragazze, appassionata di sport (equitazione in particolare), di musica, di cinema, di arti figurative e accanita lettrice, dal 2017 è membro del Direttivo ed è stata riconfermata in un secondo mandato nella carica di tesoriere.

4 Commenti
  1. I medici albanesi, quelli cubani…quanti paesi che sentivamo così lontani ci sono venuti vicino, hanno condiviso con noi dolore e rischi preoccupanti. Che bella storia, Lavinia! Torneranno…? Il timore è che, ahimè, che ce ne possa essere ancora bisogno.

    1. Spero che non ce ne sia più bisogno, ma, nel caso, sono certa che anche i nostri medici sarebbero pronti a partire per dare una mano a chi sarà in difficoltà come lo siamo stati noi 😘

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