Laura Mirachian: la passione per la diplomazia

di Lavinia Coppola De Nicolo

Ho conosciuto l’Ambasciatore Mirachian in occasione dell’apertura del corso “Donne, pace e mediazione”, patrocinato dalla nostra associazione: fin dalle prime parole scambiate con lei, mi sono resa conto di trovarmi davanti ad una persona dotata di un acume, di una cultura e di una consapevolezza assolutamente fuori dal comune.
Laura mi accoglie nella sua bella casa romana, piena di libri e di ricordi della sua vita itinerante, e accetta di parlarmi un po’ di lei. “Mio padre, nato in Turchia, ma di nazionalità armena, è sfuggito al genocidio gettandosi in mare nel porto di Smirne e raggiungendo a nuoto la nave che lo ha portato in Italia. Grato per aver avuto l’opportunità di restare nel nostro paese, e per l’aiuto di tanti italiani, ha educato le figlie ai valori dell’accoglienza e dell’indipendenza. Abbiamo tutte imparato a nuotare prestissimo, perché lui si era salvato solo grazie alle sue capacità natatorie, ci ha fatto prendere la patente prestissimo, imparare inglese e francese da adolescenti, ci ha messo nelle condizioni di essere capaci di fare da sole, senza dover dipendere da nessuno. Ci ha educate a pensare con la nostra testa, ci ha fatto capire che solo con lo studio, con l’impegno e con la curiosità intellettuale avremmo potuto vivere la vita che avremmo voluto: ricordo ancora di quando, bambina, mi teneva sulle ginocchia leggendomi il “Corriere della Sera”. La sua vita, cominciata in maniera tragica e finita felicemente in seno ad una società che lo stimava e lo apprezzava e ad una famiglia che lo amava, è stata per me di grande insegnamento”.

La sua carriera è stata sempre in crescita: Mogadiscio come prima sede, Dublino, Ginevra, Belgrado, Damasco, e, infine, di nuovo Ginevra come capo della rappresentanza. Il tutto intervallato da incarichi di prestigio al ministero, in primis Direttore Generale per i Paesi Europei, e da missioni in rappresentanza dell’Italia (una per tutte, la conferenza di Rambouillet per la stabilizzazione della ex Jugoslavia). E’ nominata, una fra le primissime donne, ambasciatore di grado nel 2008, e termina la sua carriera in cima alla lista del bollettino diplomatico.
“Non ero destinata a prestare servizio in sedi comode o in grandi cancellerie: al Ministero hanno capito che avrei dato il meglio di me in missioni “al fronte”, a partire dal mio primo incarico, l’Africa, poi otto anni di Balcani durante la grande crisi, poi la Siria, e non ultimo le Nazioni Unite. La Siria è stata per me una sede particolarmente importante, perché mi
ha dato un’apertura sul mondo arabo-islamico: ho studiato la lingua perché mi sono resa conto che la struttura della lingua di un popolo ne riflette la mentalità, che avevo necessità di capire per poter svolgere bene il mio lavoro. Anche le due esperienze alle Nazioni Unite sono state molto importanti: ho preso parte all’Uruguay Round, i cui negoziati su una vastità di temi (liberalizzazione dei commerci, regole per gli investimenti internazionali, per la proprietà intellettuale, ed altro) hanno dato avvio al processo di globalizzazione. Non si negoziò, sui movimenti delle persone: molto probabilmente, se ciò fosse avvenuto allora, adesso avremmo meno problemi su questo fronte. Ad ogni modo, alle Nazioni Unite a Ginevra ci si rapporta con una platea larghissima, con almeno venti organizzazioni che coinvolgono direttamente interessi italiani (UNHCR, OMS, ILO e così via) in cui sono rappresentati moltissimi paesi: è proprio nelle sedi multilaterali che ci si rende conto di quanto sia importante il negoziato e quanto siano importanti le alleanze e la condivisione: da soli non si va da nessuna parte”.

 

Quali sono le doti fondamentali per un diplomatico?

“La dote fondamentale è la capacità di ascolto: troppo spesso non si presta davvero attenzione alle istanze dell’interlocutore. Questo porta inevitabilmente a perdere informazioni importantissime per trovare i punti di contatto fra le diverse posizioni, punti
di contatto dai quali si deve partire per portare avanti un negoziato con successo. In questo le donne sono molto dotate e ho notato che, in generale, il senso pratico femminile è di grande aiuto nella risoluzione dei problemi”.

 

Le chiedo, quindi, della sua esperienza in quanto diplomatico donna, una mosca bianca all’epoca…

“Non ho subito alcuna discriminazione: nell’assegnarmi le sedi e gli incarichi ministeriali si è tenuto conto unicamente delle mie capacità ed attitudini. All’estero, poi, le donne in diplomazia sono molto numerose, specialmente nelle sedi multilaterali: molte provengono dall’Africa, molte dai paesi scandinavi, molte americane. Sono ancora poche invece quelle dei paesi della “vecchia Europa”, ma la situazione è in continua evoluzione: anche da noi ormai oltre il 22% dei funzionari diplomatici sono donne, e questo numero andrà sicuramente ad aumentare. Di pari passo sarà anche necessario adattare gli orientamenti ministeriali alla nuova realtà familiare che si va delineando: visto il nostro retaggio culturale, è molto più difficile per un collega lasciare il lavoro per seguire la moglie in carriera, e diventa sempre più importante intraprendere azioni che facilitino la possibilità, per i coniugi, di lavorare all’estero. D’altronde una vita familiare serena fa sì che anche il lavoro del funzionario possa essere svolto in maniera più efficace. Questo è uno dei temi che stiamo affrontando con la DiD, l’associazione delle donne in diplomazia, anche in collaborazione con il GlobeMAE, che riunisce i diplomatici LGBT: l’associazionismo è molto importante per portare avanti le nostre istanze, per unire le forze di categorie al momento ancora poco rappresentate”.

 

Quanto è importante il ruolo del coniuge del diplomatico?

“Io mi sono resa conto dell’importanza fondamentale del ruolo del coniuge proprio non avendone uno! Parlo soprattutto delle donne: il funzionario lavora, la moglie fa tutto il resto. Io ho dovuto avvalermi moltissimo dell’aiuto degli intendenti, soprattutto in sedi in cui non si poteva ricevere all’esterno, come ad esempio, a Belgrado durante la guerra. Ma il ruolo del coniuge è molto più ampio, spazia dall’organizzazione delle partenze e degli arrivi, alla gestione della famiglia, al mantenimento di rapporti con i diplomatici degli altri paesi e al supporto in generale dell’attività del funzionario. Infatti, auspicando che le possibilità di svolgere un’attività lavorativa da parte dei coniugi siano sempre più ampie, diventa molto importante per le famiglie la scelta delle sedi: grandi residenze o sedi in paesi in via di sviluppo, ad esempio, richiedono un impegno tale da rendere molto difficile per il coniuge dedicarsi ad altre attività, mentre altre sedi consentono sicuramente di avere più tempo”.

Nonostante sia in pensione, l’Amb. Mirachian non ha certo smesso di lavorare: fa parte del Circolo Studi Diplomatici, collabora con diverse testate quali “Limes”, “Affari Internazionali”, “Pensalibero.it”, “La Stampa”, scrive di Siria (“Siria perché. Lettere da Damasco”, “Syria and its neighborhood”) e di altri temi, e porta la sua competenza e la sua capacità di analisi nelle Università, Centri di Studio e Ricerca, Gruppi di Lavoro.

Un incontro straordinario con una donna libera, che ha fatto della sua passione una professione e della sua professione una ragione di vita.

Lavinia Coppola De Nicolo

Dottore commercialista e revisore contabile, lascia Napoli e la professione per seguire il marito funzionario diplomatico in giro per il mondo. Mamma di due ragazze, appassionata di sport (equitazione in particolare) di musica, di cinema, di arti figurative e accanita lettrice, è membro del Coro ACDMAE e del Direttivo con la carica di tesoriere.

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