Berlino 1989-2019: I’vo gridando Pace, pace, pace

di Maria Giovanna Fadiga Mercuri

Sole, aria tiepida, profumi di delicatessen: Il 6 ottobre scorso era una bellissima domenica di fine estate al MAXXI, giorno dell’apertura dei festeggiamenti. Non farmi muro. Facciamo festa era l’indovinato slogan che l’ambasciata della Germania in Italia aveva scelto per celebrare la Settimana tedesca in Italia e per ricordare i Trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Roma era invasa da letture, presentazioni, film, musica, laboratori per tutti.

Pioggia, fango, umido. Tre parole che evocano scenari tristi e dolorosi. Se con sensibilità storica sono poi abbinate alla parola “Germania”, le immagini che scorrono nella nostra mente sono probabilmente ancora più dolorose. Ma aggiungiamo una data: 9 novembre 1989. A pronunciarla, questa sequenza di numeri sembra quasi musica ed è davvero armonia per tutti coloro che ricordano quel momento. 9 novembre 1989. Caduta del muro di Berlino.  Cortina di ferro. Muro di cemento. Il limite che ha segnato un’epoca, così solido e indistruttibile da essere considerato il segno tangibile di una guerra silenziosa e fredda, la Guerra Fredda appunto, di fatto per molti storici il Terzo Conflitto Mondiale. In quegli anni io c’ero come tantissimi di noi, da una parte e dall’altra di quel muro. C’ero quando a scuola leggevo sui libri DDR e BRD, guadavo foto e scarse notizie sull’Est; c’ero quando non mi veniva in mente di studiare lingue e culture importanti ma inutilizzabili; c’ero poi da adulta quando si trattava di prendere in considerazione sedi vicine ma estremamente disagiate.

E c’ero quella sera in cui tutti abbiamo sentito profondante che le parole di John Fitzgerald Kennedy erano state dette per ognuno di noi. Ich bin ein Berliner. E ci sono adesso a Berlino e intorno a me vedo segnalazioni di eventi e la data 9 novembre 2019 dappertutto. Ma questa volta unita a “Friedliche Revolution”, la rivoluzione pacifica, senza contraddizione: la pace nella storia passa spesso attraverso la violenza della rivoluzione e anche questa volta. La violenza di un’idea.

Tutta Berlino si prepara con estrema concentrazione ad un evento colossale e anche un solo breve passaggio su Internet ci frastorna con la molteplicità di occasioni, manifestazioni, concerti, mostre. Ma attenzione, non si tratta di scenografie hollywoodiane: la parte più vistosa è costituita da folto tappeto luminoso blu e giallo (una bandiera minimalista con i colori dell’Europa) che fa da cielo nel tratto del Tiergarten fino al punto d’incontro con l’ex-Est. Alla fine, la sorpresa: una statua di bronzo di tre metri forgiata profeticamente nel 1967 che rappresenta un uomo, le mani a coppa sul volto, nell’atto di gridare con forza. Si chiama Der Rufer (colui che chiama). Sul basamento il verso finale della Canzone all’Italia di Francesco Petrarca “I’vo gridando: Pace, pace, pace.”

Una passerella di intenzioni e sogni. Mi è sembrato significativo passeggiare sotto la Brandenburger Tor proprio il 4 novembre, in quella che per noi dovrebbe essere la Festa dell’Unità Nazionale secondo la nuova denominazione, la Festa della Vittoria del 1918 per me e per quelli della mia generazione. Come cambiano le prospettive storiche! Vittoria in un conflitto presuppone perdenti e vincenti, vincitori e vinti. Unità invece presuppone amalgama, accettazione, integrazione tolleranza.

In un’Europa che sta sottilmente lacerandosi, ancora una volta l’esempio della forza della gente e del suo coraggio siano d’ispirazione per un’unità che non resti solo sulle stelle di una bandiera.

Maria Giovanna Fadiga Mercuri

Umanista e filologa, ha sempre cercato di svolgere attività di studio e di ricerca nel settore di formazione nelle diverse sedi, fra la Corea del Sud e del Nord, il Regno Unito, la Germania, il Belgio e gli Stati Uniti. Attualmente a Roma, insegna Paleografia e Diplomatica (attenzione: niente a che vedere con la diplomazia!) presso la Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Universitario di Patologia del Libro. Ex membro del Consiglio Direttivo uscente, ama scrivere.

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