“Bangla” di Phaim Bhuiyan

di Maria Rosaria Gallo Colella

Ancora una volta mi stupisco di quanto l’Italia sia apprezzata in Norvegia, paese dove vivo da poco più di un anno e che non smette di sorprendermi per l’amore che porta alla nostra cultura.

Invitati a una rassegna cinematografica per assistere ad un applauditissimo documentario sul lavoro della fotografa Letizia Battaglia,  la nostra attenzione all’ uscita dalla sala viene attirata da un altro film italiano in cartellone: “Bangla”, del regista Phaim Bhuiyan.

Chiacchierando con la fotografa ci colpisce l’immagine del giovane protagonista che scopriamo essere anche il regista della pellicola: evidentemente un immigrato, che si aggira in una Roma multietnica con aria distratta e andatura decisa; o sarà un’ aria decisa su un’ andatura distratta?

Decidiamo di scoprirne di più e con la signora Battaglia ci avviciniamo a un gruppo di giovani cinefili che discute animatamente. Riconosco immediatamente il regista. Mi presento e seduta stante lo invito a casa a prendere un caffè.

Phaim Bhuiyan arriva puntuale, ma più che farsi intervistare fa milioni di domande e pretende di visitare la Residenza dalla soffitta alle cantine; incontra mio marito che sta per andare al lavoro e gli chiede: “E tu, che fai qui?” e la spiegazione lo incuriosisce oltremodo.

A visita ultimata rimango con più curiosità che risposte; non mi resta che andare a vedere il film.

Riconosco sin dalle prime scene l’attitudine del giovane attore-regista; una lunga sequenza che lo vede in cammino per le strade di Tor Pignattara, quartiere multietnico che, da perfetto romano, chiama Torpigna…

È il suo ambiente, la sua gente, che descrive con disincanto nella lotta quotidiana: mille razze multicolori che convivono in un intrico complicato di diversità e integrazione, dove i pochi romani rimasti devono a loro volta fare i conti con la necessità di essere accettati.

Di famiglia umile, Phaim mi aveva raccontato la sua storia di giovane studente in cinematografia che quasi per un colpo di fortuna si vede offrire la possibilità di girare un film incentrato su di loro, gli immigrati.

E la storia del protagonista non sembra distaccarsi molto da quella reale del regista: integrarsi o rispettare i propri valori, farsi coinvolgere dallo stile libero ed esuberante dei coetanei romani o rimanere legato alle consuetudini della famiglia d’ origine, arrivata in Italia dal Bangladesh.

Caparbiamente Phaim cerca di conciliare entrambi, soprattutto a partire dall’ incontro con una giovane ragazza romana, dall’ apparenza arrogante e determinata, proveniente da una famiglia tanto problematica e frantumata quanto la bengalese è tradizionalista e fortemente legata alle  tradizioni.

Contro ogni previsione la coppia sembra funzionare, ma quando le cose cominciano a farsi serie i primi interrogativi si fanno strada: il bengalese sogna un amore e una famiglia rispettosi dei valori e delle tradizioni, mentre la ragazza non riesce ad apprezzare la magia di un’ esperienza che non ha mai testimoniato.

L’affetto tra di loro e la comprensione delle diversità individuali incorniciano un finale che potrebbe sembrare aperto, ma che in realtà ci insegna la bellezza di uno sguardo altruista sull’ altro, chiunque esso sia, che esige e merita amore e rispetto.

Maria Rosaria Gallo Colella

Napoletana di nascita e temperamento , mi sono laureata in Lingue e Letterature straniere presso il prestigioso Istituto Orientale della città partenopea; le lingue le ho poi praticate accompagnando mio marito in giro per il mondo e seguendo le avventure scolastiche dei miei 5 figli. Mi occupo della rubrica sul cinema italiano “Visti per voi” e della sezione informativa sulle attività del coro Acdmae, nel quale canto da tre anni.

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